Il lavoro nell epoca moderna

L’uomo europeo attraversa nella seconda metà del Trecento una grave crisi: la drammatica epidemia della “peste nera” che decima la popolazione europea a partire dal 1348 innesca una serie di fenomeni sul piano sociale, economico e culturale che comportano gravi ricadute sul piano della dialettica socio-politica (rivolte, tumulti, crisi politiche ecc.) e conseguenti trasformazioni del contesto e dell’atteggiamento complessivo (anche se mai in rottura con la mentalità religiosa dell’epoca medievale) con cui affrontare la problematica del lavoro e della riorganizzazione dell’intera vita sociale.
Nella seconda metà del Quattrocento si sviluppa così un intenso dinamismo socio-culturale, aperto al “nuovo” che, attraverso le scoperte geografiche cambia il quadro della vita sociale e della “forma mentis” dell’uomo europeo.
All’iniziale consapevolezza della limitatezza dell’Europa rispetto ai nuovi orizzonti geografici si accompagnò ben presto la certezza della provvidenzialità delle nuove opportunità offerte dalle scoperte: fiduciosi nella loro superiorità (religiosa e culturale) gli europei entrarono nell’età del colonialismo
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Nel Cinquecento l’Europa si accorge di essere un mondo in evoluzione e la struttura organica della vita associata si trasforma.
In primo luogo il quadro della cristianità muta radicalmente, la Riforma protestante porta ad una separazione irriducibile delle diverse confessioni cristiane dividendo definitivamente la Chiesa.
Anche la concezione del lavoro rimane influenzata da questa svolta religiosa: mentre il mondo cattolico attraverso il Concilio di Trento si impegna a riformulare il valore delle opere umane e delle attività economiche in rapporto all’orizzonte della fede, la Riforma luterana, che rivendica la giustificazione per sola fides, sviluppa una visione del mondo che considera superflue le opere per il conseguimento della salvezza e necessarie solo in funzione del mantenimento della sussistenza materiale degli uomini, la Riforma calvinista infine, sottolineando la “predestinazione” e la “rigenerazione” degli eletti da Dio, apre ad una nuova valorizzazione dell’attività lavorativa.
Anche il sistema economico si trasforma, con il primo affacciarsi della problematica del “capitalismo”.
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Sul piano sociale la trasformazione più rilevante nei secoli XVI-XVII è la dissociazione del lavoro dalla funzione abitativa.
Mentre in epoca medievale non vi era una distinzione netta tra luogo di lavoro e luogo destinato destinato al tempo libero e si lavorava lì dove si abitava, in età moderna, a causa dell’urbanesimo, dello sviluppo delle manifatture e dell’espansione del sistema commerciale, la famiglia si trasformò in un ambiente nel quale i lavoratori rientravano per trascorrere il tempo libero e il lavoro divenne sempre più un’attività dissociata dal contesto familiare (la famiglia accentuò il suo carattere di legame privatistico e così ad esempio i domestici cesseranno gradualmente dall’essere considerati parte del cerchio familiare).
Permane invece la dimensione comunitaria del lavoro ed il ruolo di soggetto dell’intrapresa economica svolto dai corpi sociali
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