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I mercanti conquistano gli oceani

La "medievalità" del 1492 si constata anche nell'equilibrio commerciale ancora incentrato sul Mediterraneo e caratterizzato da una bilancia commerciale in parte passiva nei confronti dell'Oriente. Ma è questo un dato che non bisogna in alcun modo esagerare.
Certo dall'Oriente venivano (attraverso la via terrestre detta "della seta" ma più ancora, ormai, attraverso l'oceano Indiano e il mar Rosso) le preziose spezie sempre più richieste per la produzione dei coloranti della lana e della seta, fulcro della produzione manifatturiera europea. Ma da parecchi secoli gli europei esportavano in Oriente tessuti, prodotti alimentari, ferro, legname. Quelle merci avevano consentito loro di ristabilire, alla metà del Duecento, una discreta riserva aurea, mentre quella argentea prosperava grazie alla scoperta e allo sfruttamento di nuove miniere in Spagna e nell'area balcano-danubiana. Ma anche se la vita commerciale del Quattrocento ruotava intorno al Mediterraneo, la rivoluzione nautica e commerciale compiuta fra Due e Trecento (che aveva determinato la nascita di tipi di nave capaci di affrontare la navigazione atlantica, perlomeno costiera) aveva consentito di mettere in contatto il Mediterraneo e il Baltico non più soltanto attraverso la lunga strada orientale che collegava il Baltico a Costantinopoli sfruttando la navigabilità dei grandi fiumi russi, ma anche attraverso la rotta occidentale (ovvero atlantica) che interessava il mare del Nord e toccava i porti di Lisbona, di Bruges e di Londra. Dal Tre al Cinquecento, Bruges fu la vera cerniera fra i traffici mediterranei e quelli nordici, così come Venezia e Costantinopoli lo erano state per secoli, e in parte continuavano a esserlo, fra Oriente e Occidente.
A mettere in pericolo la centralità mediterranea non era tanto il traffico del Baltico e del mare del Nord, che continuava comunque ad avere nel Mediterraneo il suo referente; se infatti le manifatture baltiche avevano bisogno del sale mediterraneo per conservare il loro pescato, le poco pescose coste mediterranee avevano bisogno di quel pesce, così come gli arsenali mediterranei avevano bisogno del legname nordico. Semmai, il pericolo per l'egemonia mediterranea, e soprattutto per l’emporio di Alessandria d'Egitto, proveniva dalla rotta circumafricana che dai primi del Quattrocento i portoghesi tentavano di aprire per giungere all’oceano Indiano seguendo la via oceanica, isolando così i mediatori mamelucchi che controllavano il Medio Oriente.

Grazie alle operazioni di credito, si sviluppa la finanza europea.

Le spezie orientali non erano la sola merce agognata da un Occidente in cui la manifattura si proponeva, accanto al commercio, come protagonista sempre più vigorosa della vita economica. Uno dei materiali principali per la manifattura dei tessuti era l'allume di rocca (usato come mordente per i colori delle pezze di lana). Se fino ad allora i turchi ne avevano condizionato l'importazione dalle coste dell'Asia Minore, nuove allumiere erano state recentemente scoperte nell'Italia centrale fornendo ai papi (che peraltro se ne sarebbero serviti per altri fini) un'importante fonte di reddito, subito devoluta all'organizzazione di una nuova crociata. Altra materia prima di fondamentale rilievo era poi la lana grezza, che i grandi produttori di pannilani (le città toscane e quelle fiamminghe anzitutto) acquistavano tradizionalmente sia dall'Inghilterra, sia dal " Garbo", cioè dal Maghreb,
In Castiglia, dove la Reconquista cristiana aveva irrimediabilmente fatto regredire quell’agricoltura cui i musulmani per lunghi secoli avevano dedicato amorose cure, la regina Isabella favorì la potente organizzazione degli allevatori, la mesta, che avrebbe da allora in poi condizionato l'economia e la stessa cultura dell’interno iberico (incentivando gli spazi aperti tenuti a pascolo magro e la produzione di formaggi, lane, carni e cuoio). All'estremo opposto del continente europeo, erano le carni e i cereali delle pianure tedesche, polacche e lituane a garantire una solida economia agricola e legata alla pastorizia, controllata da una ricca aristocrazia di cavalieri, a sua volta strettamente collegata ai mercanti tedeschi del Baltico e del Reno.
Strumento principale di questa vivace attività era il credito, dominate in tutta l’area mediterranea da due forti monete auree, il fiorino di Firenze e il ducato di Venezia (valutati entrambi circa tre grammi e mezzo d'oro puro). La gestione della finanza europea era monopolizzata dai banchieri soprattutto fiorentini ma anche lucchesi, veneziani, genovesi, piacentini e ormai anche fiamminghi, tedeschi e francesi. L'attività creditizia e gli investimenti erano naturalmente ancora soggetti a vane forme di condizionamento. L'usura, per esempio, continuava a essere formalmente proibita, ma si cercavano modi di legittimarne alcuni aspetti. E l'accumulo di metalli e di pietre preziose appariva ancora un "rifugio" sicuro in caso di crisi economica: i grandi tesori delle cattedrali e dei principi venivano messi in pegno quasi di continuo in cambio di prestiti di importanti somme di denaro.

La febbre della costruzione

Le città venivano costruite in mattoni, legno, fango e paglia tritata e pressata, in terra battuta, raramente in pietra; mentre il marmo (spesso sottratto agli antichi monumenti romani) tutto sommato abbondava solo a Venezia, a Firenze e a Napoli. Là, il "murare" era una gloriosa prerogativa delle aristocrazie cittadine e si accompagnava all'invenzione di nuove tecniche, di nuovi stili, di un’estetica sempre più prossima a quella dei monumenti classici che si andavano riscoprendo e che, pur noti da tempo, adesso venivano guardati con occhi nuovi. Le città europee del Quattrocento, dalle cattedrali di Parigi e di Colonia alla cupola brunelleschiana e ai palazzi patrizi di Firenze, erano tutte un immenso cantiere. Visto che l’apprendistato mercantile a artigiano era lungo e duro, la gente che dal contado veniva in città con la speranza di buoni guadagni finiva di solito per trovare lavoro nella manovalanza edilizia che offriva salari precari e al di sotto del limite di sussistenza. Così, diventava diffuso il ricorso alla mendicità o ai numerosi enti di beneficenza gestiti dalla Chiesa o dalle compagnie devozionali laiche.
Se le città italiane, franco-meridionali e catalane continuavano a essere abitate da una nobiltà in parte fusa con le più grandi famiglie della classe dirigente mercantile, quelle fiamminghe, tedesche e, in una certa misura, franco-settentrionali erano per eccellenza città di mercanti, di artigiani e di produttori, estremamente diverse dall'ambiente rurale dove i nobili vivevano nei loro castelli e i contadini nei loro villaggi. Inoltre, la presenza della Chiesa, con le sue cattedrali, relativi capitoli canonicali e parrocchie in città, oltre alle pievi e alle abbazie degli ordini tradizionali in campagna e ai conventi degli ordini mendicanti disseminati sia dentro che fuori dalle mura urbane, esercitava sulla società civile un'influenza e un controllo enormi.
A parte l'attento ma discreto lavoro dei tribunali inquisitoriali, erano soprattutto i frati mendicanti francescani e domenicani del movimento detto dell'Osservanza a confrontarsi con la gente del tempo, a controllarne l'ortodossia e a provvedere alla soluzione di taluni dei suoi problemi pratici. Da una parte, essi animavano numerose confraternite laiche dedite alla penitenza, alla devozione, all'assistenza ai poveri e agli ammalati; dall'altra, predicavano senza sosta nell'intento di innalzare il livello della cultura e della consapevolezza religiose.
(da Franco Cardini, L’alba della modernità, Il Cerchio, 2002)

 

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