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Il lavoro nel mondo antico

Nel mondo antico le parole che designano il lavoro non hanno ovviamente la ricchezza di significati e di sfumature di cui si sono caricati i termini moderni, soprattutto negli ultimi due secoli.
Il latino e il greco antico distinguono tra il prodotto del lavoro e la fatica del processo di realizzazione. In latino i due termini di uso corrente sono rispettivamente opus e opera (entrambi connessi con l'idea di benessere materiale in quanto derivati da ops, che è anche personificata come dea della abbondanza, e opifex, letteralmente "produttore di ricchezza”, è il lavoratore).
In greco per il prodotto del lavoro si usa érgon (in vari dialetti wergon, evidentemente imparentato con l'inglese work "lavorare”; e col tedesco Werke "opera") e, per il processo di realizzazione, si usa ergasìa "produzione dell'opera" o, con più forte accentuazione dell'idea di fatica, il termine pònos, letteralmente "fatica, pena, sofferenza".
Nella concezione greca il lavoro viene considerato un fattore caratteristico della vita dell’uomo che si innesta nel percorso dell’umanità già della fase della decadenza dalla primigenia età felice, quella in cui gli uomini vivevano in armonia con gli dei e la natura, la mitica “età dell’oro”
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La percezione della decadenza in cui si è ormai ineluttabilmente inseriti porta gli uomini della Grecia a vivere col continuo rimpianto dell’età dell’oro perduta come modello ideale e col conseguente timore del futuro.
Da qui la tendenza ad opporre ciò che è antico e tradizionale a ciò che è nuovo e “più recente”, valutando positivamente ciò che fa parte di un patrimonio di tradizioni e negativamente ciò che costituisce un’innovazione.
Allo stesso tempo i Greci erano consapevoli della necessità di sviluppare un progresso, di far sì che le provocazioni della realtà impongano innovazioni, capaci di assoggettare ai bisogni dell’uomo l’energia e le potenzialità della natura (ad es. l’agricoltura, il commercio, l’artigianato ecc.) e lo sviluppo di tecniche tipicamente umane (ad es. la politica) che permettono l’organizzazione di più efficaci sistemi di relazione umana.
In questo senso tra i fattori che permettono il progresso c’è il lavoro inteso come fatica che riesce a trasformare la realtà rendendola utile alla vita dell’uomo, così le opere frutto della laboriosità umana sono tra i caratteri tipici della civilizzazione, del progresso umano.
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La caratteristica precipua della mentalità greca è poi la considerazione che la migliore risorsa dell’uomo per migliorare le sue condizioni nel contesto di una storia perennemente inclinata verso una deriva decadente è la ragione, lo straordinario strumento che permette all’uomo di abbracciare potenzialmente tutta la realtà e di aspirare a conoscerne tutto il significato (come disse Aristotele “anima est quodammodo omnia”, l’anima è capace di incontrare ogni aspetto del reale).
La consapevolezza che il carattere distintivo dell’umano è la ragionevolezza conduce i Greci a considerare la “contemplazione del vero”, l’otium, come la attività caratteristica e specifica del genere umano, mentre ciò che non è otium contemplativo, il negotium per l’appunto è solo strumento per l’umanizzazione, ha cioè sempre, come tutti gli strumenti un carattere ambivalente, da una parte in quanto favorisce la brama di possesso e di piacere dell’uomo può allontanare ancora di più lo stesso dall’acquisizione della saggezza, per altri versi invece la capacità lavorativa è riconosciuta come un dono degli dei per poter soddisfare sempre meglio le proprie esigenze e non essere schiavo della natura
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