L’età dell'oro e li'inizio della decadenza umana
Caratteristica fondamentale della concezione della vita del mondo greco-romano è la memoria di un passato felice, senza dolore né fatica, in armonia con la natura. Questo tempo scomparso è in genere definito "età dell'oro": in esso gli uomini erano amici degli dei, non conoscevano la morte se non come un sonno da cui rinascere. Spesso si identifica l’età dell’oro col regno di Crono/Saturno, signore dell'intero cosmo o di luoghi privilegiati come l'antico Lazio civilizzato dalle sue leggi.
«Prima gli immortali fecero una stirpe aurea di uomini mortali che abitano le dimore dell'Olimpo. Era il tempo che Crono regnava in cielo: vivevano come dèi con il cuore senza dolori, lontano da fatiche e sventura; non incombeva la triste vecchiaia, ma sempre con la stessa forza nelle membra godevano delle feste al di fuori di tutti i mali. Morivano come domati dal sonno; avevano tutte le cose belle; la terra feconda produceva frutto spontaneamente, molto e abbondante: ed essi contenti e tranquilli godevano i beni in mezzo a molte cose eccellenti, ricchi di greggi, amici degli dèi beati. Quando poi la terra coprì questa stirpe, divennero demoni buoni per volere del grande Zeus: stanno sulla terra custodi degli uomini mortali».
(Esiodo, Le opere e i giorni, 109 ss.)
«Per primo venne Saturno dall’Olimpo celeste, fuggendo le armi di Giove ed esule dal suo regno. Egli riunì un popolo indocile e disperso sugli alti monti e diede loro leggi e volle chiamare il luogo Lazio. Sotto quel re ci fu l’età che chiamano aurea: reggeva i popoli in tranquilla pace».
(Virgilio, Eneide, VIII, 319 ss.)
«Quanto vivevano bene sotto il regno di Saturno, prima che la terra si fosse schiusa ai lunghi viaggi! In quel tempo non sottostava al giogo il forte toro, il cavallo non mordeva il freno con le fauci aggiogate, nessuna casa aveva porte, non si conficcava nei campi una pietra che li dividesse con confini sicuri. Le querce davano miele spontaneamente e le pecore offrivano agli uomini privi di preoccupazioni le mammelle gonfie di latte. Non c'erano eserciti, ira, guerre, né il fabbro aveva costruito, crudele, la spada con la sua arte violenta».
(Tibullo, I, 3, 35-48)
All’origine del dolore e della fatica degli uomini c'è una “macchia originaria”, una gravissima colpa: perciò Zeus, secondo Esiodo, nascose i beni agli uomini costringendoli a lavorare per vivere.
Gli dei tengono nascosti agli uomini i beni necessari alla vita: facilmente, infatti, potresti lavorare un solo giorno e poi startene ozioso per un anno; presto potresti riporre sopra il fumo del focolare il timone e sparirebbe la fatica dei buoi e dei muli pazienti. Ma Zeus nascose i beni, adirato nel suo cuore».
(Esiodo, Le opere e i giorni, 42 ss.)
Nella concezione romana è lo scelus, l'atroce delitto del fratricidio (l'uccisione di Remo da parte di Romolo) che si pone alle origini della storia, e viene additato da Orazio quale causa della decadenza che contraddistingue quella «seconda era» che si «estingue nella guerra civile» e che rischia di far «rovinare Roma sulla sua stessa potenza». (Orazio, Epodo XVI, 1-3)
La distruzione di Roma - impresa che i nemici esterni non riuscirono mai a portare a termine - rischia, dunque, di trasformarsi in realtà ad opera degli stessi Romani che, combattendo tra di loro. profanarono il sacro suolo dell'Urbe con il sangue dei propri fratelli e rinnovarono, così, lo scelus originario. «Come liberarsi questa grande angoscia?» si chiede Orazio, che così risponde:
«Migrare, non ci può essere altra soluzione preferibile […] Andiamo dovunque i piedi ci condurranno, dovunque ci porterà sulle onde il Noto o lo scirocco protervo. Va bene? oppure qualcuno ha altro da suggerirci? […] Andremo verso pianure felici e isole ricche dove il suolo dà messi sempre senza essere arato ogni anno, e sempre fiorisce la vigna non potata, e mai tradisce l'olivo germinando, il fico rugginoso adorna l'albero, stilla il miele dai lecci cavi, sonora balza dai monti alti un'acqua lieve».
(Orazio, Epodo XVI, 17 ss. e 60 ss.)
«Dove, dove vi precipitate nel delitto? Perché adattate alle destre le spade già riposte? Forse è stato poco il sangue finora versato sulle pianure e nel mare, non perché ì Romani bruciassero le rocche superbe dell'ostile Cartagine o perché i Britanni mai domati scendessero incatenati per la Via Sacra, ma perché questa città perisse di sua mano secondo i desideri dei Parti? Né i lupi né i leoni hanno mai avuto questo comportamento, se non contro animali di altra specie. È una follia che vi acceca, o vi trascina una forza più violenta, o una colpa? Tacciono. Un bianco pallore si diffonde sui volti e gli animi sconvolti restano attoniti. È così: acerbi destini trascinano i Romani, e il delitto dell'assassinio fraterno: il sangue di Remo innocente si sparse a terra come maledizione per i discendenti».
(Orazio, Epodo VII)
(riduzione da acd M. Morani, La concezione della storia del mondo antico fra progresso e caduta, Itaca, 2004)