Istruito il
popolo italiano ?
Ján Figel’, commissario europeo per istruzione, formazione, cultura e
multilinguismo, ammonisce: “Sistemi d’istruzione e di formazione efficienti
possono avere un notevole impatto positivo sulla nostra economia e società
ma le disuguaglianze nell’istruzione e nella formazione hanno consistenti
costi occulti che raramente appaiono nei sistemi di contabilità pubblica. Se
dimentichiamo la dimensione sociale dell’istruzione e della formazione,
rischiamo di incorrere in seguito in notevoli spese riparative”.
E l’Italia, secondo l’Ocse, è al penultimo posto per numero di laureati: 11
su 100 fra 25 e 64 anni. Ci batte la Turchia. In Asia [Giappone e Corea] il
rapporto è 37 e 30; come in America [Stati Uniti] o
in Australia. Qualcuno vorrebbe che noi ci si confrontasse con l’Africa.
I nostri giovani laureati [fra 25 e 34 anni] nelle facoltà scientifiche sono
1.227 ogni 100 mila; la media Ocse è 2.128.
Per i diplomati siamo in fondo alla classifica [48 su 100]: la media Ocse è
67 ogni 100 abitanti [età compresa fra i 25 e i 64 anni].
Non è quindi un mistero che l’Ocse bocci la scuola italiana secondo i dati
del Rapporto Education at a glance 2006 [pp. 465, con tabelle, grafici e
dati aggiornati al 2004), ].
Il sistema di istruzione statale dell’Italia è costoso di per sé,
insostenibile se confrontato ai risultati.
I nostri ragazzi sanno chiaccherare tanto, ma per leggere e contare sono al
fondo dell’Europa. E non è problema di numero per classe [18 alunni per
classe in Italia contro i 21,5 della media Ocse]; né di tempo [il numero di
ore di lezione è più alto che negli altri paesi membri; né di rapporto
alunni–insegnanti, tra i più favorevoli. E così i costi salgono.
Non sale l’educazione.
Vola la dissipazione. La banalità affligge.
L’assenza di educatori, negli stessi luoghi dove i giovani vivono, a
cominciare dalle loro case, è spaventosa.
Il monito dell’Ocse é per la ricerca di una maggiore efficienza, per reggere
il confronto con le altre economie mondiali. Ma la dimensione economica non
è l’unica con cui calcolare altezze e bassezze culturali, formative,
educative.
Ci vorrebbe anche un altro metro.
Penserei ad una sonda, per capire a quale vicinanza dai nostri piedi sia
arrivato il vuoto dell’educazione che lo stato italiano presume di servire
ai propri citadini.
Non dovrebbe mancare molto prima che la crosta si apra ad inghiottire ogni
detrito.
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Si veda:
‘il narratario’ periodico quindicinale
anno 12 numero 14
30 settembre 2006, p.2
riproposto in “Laboratorio didattico”, 12 ottobre 2006
Laboratorio didattico,11_seetembre_2006