ParmigianoIl formaggio parmigiano
Eccedenza e astinenza: far di necessità... virtù.

Alle origini dell formaggio parmigiano

Il contesto e l'idea

Con il latte, col caglio col fuoco e con l'arte

Formaggio con il marchio

 

Alle origini del formaggio parmigiano

“Nella terra dei Baschi, in una regione che si chiamava Bengodi, dove le piante di vite si legano con le salsicce, c'è una montagna di formaggio parmigiano grattugiato, sopra alla quale stanno delle persone che non fanno nient'altro che gnocchi e maccheroni e li cuociono in brodo di pollo e poi li gettano giù e chi più ne ha più ne metta, e lì vicino scorre un fiume del miglior vino che si sia mai bevuto, senza un goccio d'acqua”.
Questo “elogio” al parmigiano si trova nientemeno che in una novella del Decamerone di Boccaccio (1313 – 1375): al povero Calandrino, ingenuo e credulone, i suoi amici pittori in vena di beffe, fanno credere che possa esistere un regno meraviglioso dell’abbondanza, con tanto di montagne di formaggio parmigiano grattugiato. 

Il contesto e l’idea

Le origini del parmigiano sono dunque antiche, medievali per l’appunto. Di fatto dobbiamo soprattutto ai monaci medievali la stragrande produzione di formaggi, tra cui il parmigiano. Fino all'XI e al XII secolo non si pone quasi mai il problema del latte, ma del formaggio e del burro. Solo un ambiente artigianale altamente qualificato era capace in effetti, di  mettere a punto e di trasmettere, di generazione in generazione, tecniche delicate e raffinate. Era precisamente il caso dei monasteri o delle comunità rurali che lavoravano all’ombra delle abbazie. Inoltre per produrre formaggio erano necessario una certa eccedenza di latte, cosa che avveniva di rado a causa della scarsità di bestiame e del suo basso rendimento. I monaci invece ne avevano in abbondanza grazie alla loro arte nell' allevamento di mandrie e greggi e alla loro volontà sistematica di mangiare poco. “Si tratta sempre dello stesso meccanismo: digiuni [ad esempio in occasione del periodo della Quaresima] e astinenze, ordine e lavoro creano salvo imprevisti, eccedenze.  In quell'epoca le relazioni economiche erano ancora troppo scarse e incerte perché si potesse pensare di venderle regolarmente. Ecco allora porsi il problema di una loro utilizzazione e nascere la risposta: che cosa tirar fuori da questo latte se non formaggio. Fresco? Cagliato? Ricotta? Sono però alimenti che non si conservano. Bisogna dunque mettere a punto un modo più efficace di conservare il latte; sarà il formaggio duro” (L. Moulin, La vita quotidiana dei monaci nel medioevo, Mondadori).

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Il contesto e l’idea (pag. 2)

Grazie ai lavori  di bonifica delle paludi e al dissodamento dei campi ad opera dei monaci benedettini e cistercensi, già nel duecento a Parma e a Reggio era presente un’ agricoltura per quei tempi abbastanza avanzata che aveva sempre più bisogno di bestiame grosso sia come forza motrice sia come fonte di fertilizzazione per i terreni.  I centri più dinamici e tecnicamente avanzati erano certamente le aziende ecclesiastiche legate ai monasteri: le grancie, vere e proprie aziende agricole, dotate di campi coltivati, pascoli, stalle, granai e magazzini. Allora, come oggi, le mucche erano nutrite con il trifoglio e l’erba medica. Nel parmense inoltre era presente, a  differenza delle altre città emiliane, il sale necessario per la trasformazione casearia prodotto dalle saline di Salsomaggiore.

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Il contesto e l’idea (pag. 3)

I principali monasteri  presenti tra Parma e Reggio erano 4: due benedettini (S.Giovanni a Parma e S. Prospero a Reggio) e due cistercensi (S.Martino di Valserena e Fontevivo, entrambi nel parmense). Dalla documentazione dei monasteri appare una produzione di formaggio sin dal XII secolo, ma ciò non significa ancora che si trattasse di Parmigiano. Per una individuazione del Parmigiano con sufficiente chiarezza sono infatti necessarie alcune informazioni quali il peso della forma o la quantità di latte impiegato o il numero delle vacche necessarie per produrre la forma. La dimensione della mandria è un fattore essenziale e, dato l’alto valore delle vacche, restava evidente che solo le aziende maggiori del tempo potevano permettersi il lusso di una consistente mandria di bovine per la produzione di grossi formaggi. La tecnologia del parmigiano inoltre, impiegando la scrematura parziale del latte, presupponeva un buon livello tecnologico da parte dei produttori. Tutte queste caratteristiche si riscontravano nelle grandi aziende abbaziali. Una pergamena del 1349 dell’abbazia di S.Martino ci parla della produzione di caseus da parte di due mandrie, una di 49 e l’altra di 32 vacche. In altri documenti successivi è indicata la più antica grancia del monastero in cui si produceva il Parmigiano: quella di Frassinara, a partire dal 1305.

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Il contesto e l’idea (pag. 4)

Lo sviluppo della tecnologia per produrre il Parmigiano è stato comunque un processo lento. Il Parmigiano medievale era molto più piccolo dell’attuale. Nel Quattrocento il peso era di circa 13 chili anche se poteva oscillare notevolmente in base alla disponibilità di latte della mandria. Le forme più grosse erano le più pagate. La piazza di Parma era la principale per la commercializzazione di questo prodotto che, date le sue grandi dimensioni, la sua lunga conservabilità e la sua qualità, possiamo dire che fosse nato per viaggiare: infatti già nel 1351 lo troviamo a Bologna e nel 1371 a Bra. Nel 1389 i pisani per primi lo esportano fuori dall’Italia: lo caricarono infatti sulle loro navi dirette in Francia, Spagna e nord Africa.

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Con il latte, col caglio col fuoco e con l'arte

Sono pochi al mondo i formaggi che richiedono una lavorazione così lunga e meticolosa come quella del parmigiano-reggiano, e nessun altro formaggio al mondo si produce con una tecnica di lavorazione completamente al naturale.
Per produrre il Parmigiano-Reggiano s’impiega il latte di due mungiture: quella serale e quella della mattina. Il latte della sera viene messo a riposare in grandi vasche basse e larghe dove rimane per tutta la notte; al mattino il casaro provvede a togliere la panna che è affiorata in superficie ed aggiunge altrettanto latte della mungitura della mattina. Il latte, versato nella caldaia, viene riscaldato alla giusta temperatura. Il formaggio si forma con l’aggiunta di siero di latte e caglio, due elementi assolutamente naturali. Dopo la rottura del coagulo in grani e la cottura, la pasta così ottenuta, estratta dalla caldaia grazie ad un ampio telo, è deposta entro fascere cilindriche.
La forma ottenuta viene in seguito immessa in un bagno d’acqua salata dove il formaggio elimina l’ acqua in eccesso e assorbe una leggera quantità di sale. Il cloruro di sodio, il comune sale da cucina, è l’ unico ingrediente aggiunto. Quindi la forma giunge nei magazzini di stagionatura, dove riposerà fino a 24 mesi. Per tutto questo tempo il Parmigiano continua a maturare. Privo di conservanti, è come se il latte continuasse a vivere in un’altra dimensione. Se la forma presenta tutte le caratteristiche d’idoneità, sarà marchiata a fuoco dagli ispettori del Consorzio Tutela.

Già i primi casari si resero conto di avere creato una opera d'arte; e da uomini saggi si accontentarono della eccellenza qualitativa raggiunta. Nemmeno oggi i casari hanno ceduto alla tentazione di semplificare le funzioni e le attività. Il Parmigiano perciò, oggi come una volta, si produce ostinatamente solo con il latte, col caglio, col fuoco e con l'arte.

Formaggio con il marchio

Il formaggio Parmigiano-Reggiano è da tempo un prodotto a Denominazione d'Origine Protetta (D.O.P.), secondo la norma europea del Reg. CEE 2081/92 ed il riconoscimento del Reg. (CE) N. 1107/96. Solo il formaggio prodotto secondo le regole raccolte nel Disciplinare di produzione può fregiarsi del marchio Parmigiano-Reggiano. Il Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano associa tutti i caseifici produttori. I suoi compiti sono di verificare che il Parmigiano-Reggiano venga fatto secondo le rigorose regole stabilite dal Disciplinare di produzione; tutelare il Parmigiano-Reggiano dalle sue imitazioni; promuovere e diffonderne la conoscenza e il consumo; perfezionare e migliorare la qualità del Parmigiano-Reggiano per salvaguardarne la tipicità e le caratteristiche originali.

Per la commercializzazione del prodotto il Consorzio punta soprattutto sul miglioramento della qualità a tutti i livelli della filiera. A questo scopo è stata creata la “Scuola Casearia”, un centro permanente di formazione e sperimentazione per il sistema Parmigiano Reggiano. Inoltre  il Consorzio interviene con attività di monitoraggio delle caratteristiche igienico-sanitarie del latte, con l’intensificazione delle attività di vigilanza sulla produzione e di tutela legale a livello nazionale e internazionale.