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Una giornata di un contadino al tempo di Carlo Magno

Una bella mattina di primavera, verso la fine del regno di Carlo Magno, Bodo si alza presto, perché è il giorno in cui deve andare a lavorare la terra dei monaci, e non osa far tardi per paura dell'amministratore. Non è difficile supporre che abbia mandato all'amministratore uova e verdura in regalo, la settimana prima, per ingraziarselo; ma i monaci non permettono certo ai loro amministratori di accettare grossi regali (come talvolta succede in altri fondi), e Bodo sa che non gli sarebbe permesso arrivar tardi al lavoro. È giorno di aratura, e quindi prende con sé il grosso bove, e il piccolo Wido perché gli corra a fianco con un pungolo, e raggiunge i suoi amici che vengono da qualche altra fattoria del vicinato, e che vanno anch'essi a lavorare alla casa grande. Si riuniscono, alcuni con cavalli e buoi, altri con zappe, marre, vanghe, scuri e falci, e si dividono in squadre per lavorare nei campi, nei prati e nei boschi del dominio, secondo gli ordini ricevuti dall'amministratore. Il manso attiguo a quello di Bodo appartiene a un gruppo di famiglie: Frambert, Ermoin e Ragenold con le loro mogli e i bambini. Bodo augura il buon giorno passando. Frambert sta andando a costruire uno steccato intorno al bosco per impedire ai conigli di uscirne e di mangiare i germogli; Ermoin ha ricevuto l'ordine di trasportare col carro un grosso carico di legna da ardere fine alla casa grande; e Ragenold sta riparando un buco sul tetto di un granaio. Bodo se ne va fischiettando nell'aria fredda, con i suoi buoi e il suo bambino; e sarà inutile seguirlo ancora, perché arerà tutto giorno e mangerà la sua colazione sotto una pianta con gli altri aratori, e questo sarebbe molto monotono.
Torniamo indietro e vediamo che cosa sta facendo la moglie di Bodo, Ermentrude. Anche lei ha il suo da fare; è il giorno in cui bisogna versare il tributo in pollame: una grassa gallinella e cinque uova in tutto. Ella affida la piccola Hildegard al suo secondo figliolo, di nove anni, e chiama una delle vicine che deve andare anch'essa alla casa grande. La vicina è una serva e deve portare all'amministratore un pezzo di stoffa di lana che sarà inviato a Saint-Germain per fame una tonaca da frate. Suo marito lavora tutto il giorno nelle vigne del dominio, perché in questo fondo generalmente i servi curano le viti, mentre i liberi fanno quasi tutta l'aratura. Ermentrude e la moglie del servo vanno insieme alla casa. Qui dappertutto ferve il lavoro. Nel laboratorio degli uomini vi sono molti bravi artigiani — un calzolaio, un carpentiere, un fabbro ferraio, e due fabbri argentieri; non ce n'è altri, perché i migliori artigiani di tutti i fondi di Saint-Germain abitano presso le mura dell'abbazia, cosi da poter lavorare per i monaci sul posto e risparmiare la fatica del trasporto. Ma c'è sempre qualche artigiano anche sul singolo fondo, sia che appartenga ai servi della casa grande, sia che viva sul proprio manso, e un signore intelligente cerca di avere maggior numero possibile di bravi artigiani sulla sua terra. Carlo Magno ordinava ai suoi funzionari di tenere ognuno nel proprio distretto «bravi artigiani, cioè fabbri, orafi, argentieri, calzolai, tornitori, carpentieri, armaiuoli, pescatori, cacciatori, saponai, uomini che sappiano fare la birra, il sidro di mele o di pere e ogni altro genere di bevanda, fornai che preparino le focacce per la nostra tavola, cordai che sappiano fare reti per la caccia, la pesca e l'uccellagione, ed altri, troppo numerosi per essere citati». E alcuni di questi artigiani che lavorano per i monaci si possono trovare anche sul fondo di Villaris.
Ma Ermentrude non si ferma al laboratorio degli uomini. Cerca l'amministratore, gli fa l'inchino, e consegna il pollo e le uova, e poi corre al quartiere delle donne per pettegolare con le serve. I Franchi usavano a quel tempo tenere le donne della casa in un quartiere separato, dove facevano il lavoro considerato più adatto per le donne, proprio come usavano gli antichi greci. Se un nobile franco avesse abitato nella casa grande, sua moglie avrebbe sorvegliato il loro lavoro, ma poiché nessuno abitava nella casa di pietra di Villaris, era l'amministratore che doveva badare alle donne. Il loro quartiere consisteva di un gruppetto di case, con un laboratorio, il tutto circondato da una folta siepe, con l'ingresso sbarrato da un robusto cancello, come un harem, in modo che nessuno potesse entrare senza permesso. I laboratori erano luoghi accoglienti, riscaldati da stufe, e là Ermentrude (che, essendo una donna, ha il permesso di entrare) trova una dozzina di serve che tessono e tingono la stoffa e cuciono i vestiti. Ogni settimana l'indaffaratissimo amministratore porta loro il materiale grezzo occorrente per lavorare, e ritira il lavoro finito. Carlo Magno impartisce ai suoi funzionari diverse istruzioni riguardanti le donne dei suoi mansi, e certamente anche i monaci di Saint-Germain facevano lo stesso sui loro fondi cosa bene amministrati.
[…]
Ermentrude, comunque, deve scappar via, dopo aver fatto i suoi pettegolezzi, e noi pure. Essa ritorna alla sua fattoria, e si mette al lavoro nella piccola vigna; poi, dopo un'ora o due, rientra per far da mangiare ai bambini, e per impiegare il resto della giornata a cucire caldi indumenti di lana per loro. Tutte le sue amiche sono al lavoro dei campi, o alle fattorie dei loro mariti, o a badare al pollaio
o all'orto, o in casa a cucire; poiché il lavoro delle donne, in una fattoria di campagna, è pesante come quello degli uomini. Ai tempi di Carlo Magno (ad esempio) quasi tutta la tosatura delle pecore era fatta da loro. Poi finalmente Bodo ritorna per la cena, e appena il sole è tramontato vanno a letto; perché la loro candela fatta a mano dà solo un barlume di luce, ed entrambi debbono essere presto in piedi al mattino. […]
Questo, dunque, era il modo in cui Bodo ed Ermentrude passavano generalmente la loro giornata di lavoro.
(da Eileen Power, Vita nel Medioevo, Einaudi, 1999)

 

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