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Il monachesimo all'origine del dinamismo economico medievale

«I monaci sono all'origine, inconsapevole einvolontaria, di un movimento economico e sociale così profondo, così diversificato e vasto che l'evoluzione del Medioevo sarebbe difficilmente spiegabile senza la loro presenza e la loro azione.
In questo senso, san Benedetto e con lui i Benedettini sono i "padri dell’Europa" nel senso pieno del termine.»

(da Leo Moulin, La vita quotidiana secondo san Benedetto, Jaca Book, 1980))

Un fatto si impone in primo luogo alla nostra attenzione: per quanto povero e rigoroso fosse il loro regime alimentare, i monaci eremiti dovevano nutrirsi e le risorse delle foreste nelle quali si erano rifugiati, non potevano bastare. I monaci dovevano creare i pascoli, i frutteti, gli orti, i giardini indispensabili alla loro sussistenza. Dovevano costruire il monastero e le sue dipendenze, cosa non da poco.
Ora, quali terre i monaci potevano lavorare? Quelle che i fedeli, per pietà o per paura dell'inferno, davano loro e che non sono sempre le migliori. Quelle che sono state trascurate o abbandonate da tempo e sono per questo ritornate allo stato selvaggio. Quelle infine che la fede fa loro ricercare per volontà di ascesi pura e faticosa, nei luoghi più selvaggi e, in ogni caso, più lontani dalle località abitate.
Un altro fattore poi spiega l'influenza che i monaci hanno esercitato sulla evoluzione della vita agricola in Europa. Il numero dei religiosi che lavorano in una comunità non può esser troppo elevato. Quando la comunità raggiunge la soglia di 25 o 30 religiosi, un pugno di monaci, generalmente una dozzina, si distacca dal gruppo iniziale, migra e va a ricominciare più lontano l'impresa di disboscare, bonificare, di valorizzare e di sfruttare nuove terre.
Ebbene, tali migrazioni si ripetono senza sosta e finiscono per coprire tutta l'Europa di una rete estremamente densa di piccoli centri agricoli attivi ed esemplari. Così dal IX al XII secolo i monaci diventano in senso proprio dei pionieri.
I monaci vanno dunque a inoltrarsi nella foresta ostile alla ricerca soprattutto dell'acqua, senza la quale è impossibile vivere. Se scelgono vallate ai bordi delle foreste è perché il legno è un materiale indispensabile per la costruzione, la cucina e il riscaldamento.
Ora, per definizione un religioso è fatto per pregare. L'essenziale della sua vita è la preghiera. Il lavoro dunque non può che essere secondario, o preparare, alla preghiera. Ecco perchè tutti i perfezionamenti tecnici che alleviano la fatica degli uomini (il mulino ad acqua soprattutto) e che permettono ai monaci di dedicare più tempo alla preghiera saranno i benvenuti.
Agricoltura e pascolo
Per secoli i pascoli, le foreste, le vigne, i campi hanno visto i progressi della civilizzazione agraria nel Medioevo. Col loro lavoro i monaci ricavarono proprietà terriere molto grandi. La terra veniva arata in strisce di 200 metri di lunghezza per 5 di larghezza. Ogni striscia era separata dalle altre da un ciglione d'erba che costituisce una specie di sentiero, con diritto di passaggio.
L'aratura veniva fatta con l'aiuto di cavalli o di buoi. Ben prima della mietitura i campi venivano cintati per porli al sicuro dalle bestie. Dopo la mietitura si abbattevano le barriere e le bestie potevano pascolare fino alla semina successiva, dando così alla terra un po' di concime di cui aveva tanto bisogno. Ugualmente si faceva per le praterie. Si coltivano diverse specie di grano soprattutto d'inverno, l'avena, l'orzo, la segale, cereali di primavera. L'avena è destinata all'alimentazione del bestiame.
La conservazione dei cereali sembra aver posto problemi insolubili fino all'inizio dell'XI secolo, così che la carestia è sempre presente. La fame e le sue fedeli compagne, le epidemie, bussano sovente alla porta del contadino. In alcuni anni i monaci patiscono la fame come i fedeli.
La silvicoltura
Disboscare, dissodare è bene... ma bisogna anche salvaguardare al massimo la foresta. Essa fornisce il legno per riscaldarsi e quello per costruire, quello per la fabbricazione di utensili e calzature. Essa è zona di pascolo per il bestiame e soprattutto per i porci che si mandano alla pastura durante i mesi delle ghiande. La foresta è la riserva di carne selvatica. La foresta offre anche altre risorse: le ghiande del faggio, le noci e le nocciole, dalle quali si estrae l'olio; il muschio e le foglie secche con cui si fanno lettiere; il luppolo selvatico; i funghi, le bacche, i mirtilli rossi e neri, gli aspri frutti degli alberi selvatici - mele, pere, prugne - e gli alberi stessi... che si estraevano per piantarli poi nel frutteto.
Molto spesso i monaci hanno arrestato il disboscamento e protetto le foreste attraverso uno sfruttamento attento: i regolamenti relativi alla loro gestione stabiliti dai certosini costituiscono a questo riguardo un modello. In essi tutto è previsto: la rotazione dei tagli ogni 60 anni senza disboscamento eccessivo, la destinazione dei boschi ai vari usi (una parte per il legname da costruzione, un'altra per fare carbone ecc.). Il più antico regolamento forestale proviene da un monastero, quello di Marmoutier, risalente al 1144 circa.
I concimi
La scarsità del foraggio limita naturalmente il numero delle bestie che è possibile mantenere nella stalla durante l'inverno. La concimatura delle terre è dunque insufficiente. Si supplisce alla meno peggio lasciando la terra a riposo un anno ogni due, o seminando in terreno debbiato a rotazione.
I cistercensi hanno introdotto la rotazione triennale. L'impiego della marna era corrente. I premostratensi si erano specializzati nell'estrazione della torba. Alcuni monaci avevano avuto l'idea di formare degli stagni nel fondo dei quali si depositava un ricco limo. Periodicamente gli stagni si vuotavano e si restituivano le terre così liberate alla coltura. Negli intervalli essi servivano come vivai.
Giardini, frutteti e orti
Nell'economia monastica orti, frutteti e giardini ricoprono un ruolo fondamentale a causa del forte consumo di legumi e di frutti che caratterizza il regime alimentare dei religiosi. Gli uni e gli altri sono dunque oggetto di cure attente da parte di un fratello destinato a questo scopo: il gardinarius o hortolanus.
Che cosa si coltiva nell'orto? Le fave che, con i piselli, i ceci e le lenticchie, formeranno la base dell'alimentazione umana fino alla fine del XVIII secolo; cavoli, insalata, cipolle; «radici» quali le rape e le carote (che furono considerate per lungo tempo piante medicinali).
I monasteri coltivano sempre con la più grande attenzione le piante aromatiche e medicinali che sono alla base della farmacopea medievale e della culinaria: la menta, il rosmarino, la salvia, l'anice, l'erba di San Lorenzo e persino la cicuta. Dalle mele si ricavava il sidro. E non è tutto... i benedettini hanno assicurato la diffusione del noce per il suo legno e per il suo olio, hanno introdotto la coltura dell'olivo, del gelso e del baco da seta nella provincia di Padova e nella regione sabina. Alcuni monaci dell'ordine di Malta trasportarono persino terra dalla Sicilia a Malta per coltivarvi l'arancio.

Gli allevamenti
La principale attività dei religiosi è stata l'allevamento del bestiame. Essa richiedeva meno lavoro e meno manodopera. I monaci cistercensi in testa, hanno dunque praticato l'allevamento su larga scala; per la carne, là dove il consumo era permesso; per il latte; per la lana, il pelame, il cuoio; per il concime.
Cera e miele
II solo prodotto zuccherato, o quasi, che conosce il Medioevo è il miele. Lo si metteva dappertutto. Lo si ricercava con passione. Le scoperte casuali però non erano sufficienti a fornire la quantità di miele necessario ad una comunità, per quanto ridotta, così gli uomini si sono presto impegnati a praticare l'apicoltura.
I monaci inoltre avevano una ragione in più per allevare le api: il grande bisogno di cera: per l'altare, lo scriptorium, il dormitorio, il refettorio, la compieta. Allora la cera era rara e per conseguenza cara. Anche in questo caso ci troviamo davanti a un bisogno spirituale - rischiarare abbondantemente con un prodotto raro i luoghi di culto - che ha conseguenze economiche.
(da Leo Moulin, La vita quotidiana dei monaci nel Medioevo, Mondadori)

 

 

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