Il lavoro nell'epoca contemporanea

Il mito del progresso: La città che sale di U. Boccioni

I costruttori  di F. Leger

La fotografia racconta il lavoro

Il lavoro come ideologia: lo strano caso del Rockefeller Center

Il lavoro del professionista: L’ingeniere di Sironi

 

Il mito del progresso: La città che sale di U. Boccioni

Il titolo originale era Il lavoro così come apparve alla Mostra d'arte libera di Milano del 1911. il dipinto raffigura il dinamismo della città in evoluzione agli inizi del secolo. Non è una città immaginata, ma la Milano che Boccioni conosceva bene. Egli descrive il quartiere dove si era da poco stabilito con la madre. Si trattava della zona di Porta Romana, caratterizzata dallo scalo merci ferroviario e da una serie di cantieri edilizi. È questa la “città che sale”, che si sviluppa in verticale, in cui nascono palazzi, fabbriche, centrali elettriche come se germinassero da un terreno particolarmente fertile. Nel vortice multicolore si distinguono i carri trainati da cavalli che trasportano i materiali da costruzione e i lavoratori che attendono alle diverse attività.

Il dipinto esprime molto bene l’ottimismo esasperato e la fiducia incondizionata nel progresso che connotava lo spirito futurista di cui Boccioni fu uno dei massimi rappresentanti nel campo della pittura e della scultura.

 

U.Boccioni, La città che sale, 1910. Olio su tela, c, 200 x 290. New York, MOMA


I costruttori  di F. Leger

 
Iniziale "D" di codice miniato, XI secolo


Il pittore Léger stesso ci racconta di come gli sia venuta l’idea di realizzare una serie di tele su questo soggetto. Osservando i movimenti degli operai in un cantiere davanti al quale passava ogni giorno, decide di dipingere “il contrasto tra l’operaio e tutta questa architettura metallica, queste durezze, queste ferraglie”. I muratori sono i protagonisti assoluti della scena. Dominano le travi di ferro che stanno assemblando per costruire. Tutto nell’immagine è chiaro e comprensibile a tutti ed esalta il lavoro dell’uomo. I colori sono essenziali: il nero che segna i contorni, il bianco e i tre colori primari, giallo, rosso e blu.
La figura rappresentata in questo particolare non sembra intenta al lavoro, quanto piuttosto a scalare le impalcature come se fosse un acrobata. C’è un aspetto giocoso nel dipinto che Léger ha voluto sottolineare per descrivere la nobiltà del lavoro che rende l’uomo importante perché contribuisce alla costruzione di un mondo migliore per tutti.
Difficile non immaginare che Léger sia stato suggestionato dal ricordo dei cantieri degli immensi grattacieli di New York che aveva visto durante i suoi soggiorni americani. I muratori indossano pantaloni in tela jeans, tipico abbigliamento dei lavoratori.
La costruzione dei grattacieli di New York è documentata in molte immagini fotografiche, soprattutto degli anni ’20 e ’30.
A proposito del dipinto sui Costruttori, Léger scrive: “È andando ogni sera a Chevreuse, in macchina lungo la strada, che mi ha preso quest’idea. C’era nei campi un’officina in costruzione. Vedevo gli uomini ondeggiare, in alto, sulle travi di ferro: vedevo l’uomo come una pulce”.

Fernand Léger alterna la sua vita tra la Francia e gli Stati Uniti. Vede svolgersi tutta la prima metà del secolo XX, con le due guerre mondiali, le crisi economiche e politiche e la rinascita delle nazioni nella democrazia. In questa metà di secolo il centro delle arti si sposta da Parigi a New York, la città dove si incontrano artisti europei e americani.

 

La fotografia racconta il lavoro


Charles C. Ebbets,  Pranzo in cima al grattacielo, 1932

Questa famosissima fotografia scattata da Charles C. Ebbets ha molte affinità con il dipinto di F. Leger, I costruttori. L’immagine ha fissato il momento del pranzo di un cospicuo gruppo di operai, sospesi a circa 250 metri da terra. Si intravedono sotto di loro i già numerosi grattacieli newyorchesi e sul fondo il polmone verde di Central Park. È il 29 settembre del 1932 e si sta costruendo a tempo di record l’edificio della R.C.A. (Radio Corporation of America), parte dell’enorme complesso del Rockefeller Center, nel cuore di Manhattan.
La costruzione era iniziata nel 1931, su un progetto iniziale che vene totalmente modificato. A seguito della pesante crisi economica del 1929 si trovava facilmente manodopera e questo permise che il gigantesco complesso (12 edifici) fosse in gran parte completato in poco tempo.
La fotografia di Ebbets venne pubblicata sul New York Herald Tribune, ma sebbene sia apparsa su un quotidiano non ha i caratteri della foto di cronaca. La fotografia sta diventando un’arte autonoma, che prende a prestito dalla pittura la composizione e la capacità di emozionare.

 

Il lavoro come ideologia: lo strano caso del Rockefeller Center

Il pittore muralista messicano Diego Rivera raggiunge la notorietà quando si trasferisce nel Nord America, alla soglia degli anni ’30. Il Museum of Modern Art di New York, inaugurato nel 1929, lo invita ad esporre in una personale nel 1931. 1932 Rivera si dedica al teatro realizzando le scenografie ed i costumi per un balletto. Nello stesso tempo inizia le pitture murali per il Detroit Institut of Art, grandioso ciclo di decorazioni intitolato Detroit Industry or The Man and the Machine.

Nel 1933 Rivera, che sta ancora lavorando agli affreschi del Detroit Institut of Arts, è chiamato a new York per realizzare un grande murale nella RCA (Radio Corporation of America), nel Rockefeller Center ancora in fase di costruzione. L'affresco, che ha per tema l'uomo artefice e costruttore del suo cammino, si intitolava L'uomo all'incrocio.
 
Diego Rivera, L’uomo come inrocio, 1933
Quando era quasi terminato venne distrutto per volontà del committente perchè conteneva l'immagine di Lenin. Rivera, in seguito, lo ridipingerà nel Palazzo delle Belle Arti a Città del Messico. L'uomo all'incrocio guarda con speranza e con fermezza alla scelta di un futuro migliore. Campeggiano le figure di Lenin e Trotzkij sullo sfondo dell'Armata Rossa (in basso a destra). In basso si può leggere la scritta "lavoratori del mondo unitevi nella IV Internazionale".

 

Il lavoro del professionista: L’ingegnere di Sironi

Così si esprime il critico francese contemporaneo Jean Clair a proposito dell’opera di Mario Sironi, in occasione della mostra milanese del 1985:

Mario Sironi, L’ingegnere, 1928
“Le attività dello spirito geometrico, per esempio la scienza della prospettiva, in quanto organizzatrice delle proprietà dello spazio o l'arte del costruire l'architettura, nel suo appoggiarsi alla misura, al peso, alla tensione dei materiali.. sono tutte attività poste sotto il segno della Malinconia. Così già Durer aveva detto, parlando dell'immaginazione melanconica legata alle arti del numero e della misura.(...) La prospettiva è anche artificio che, al di là del visibile, ci introduce nel discorso sulla scarsità di realtà del mondo; immagine di un falso infinito, essa crea l'illusione di uno spazio unicamente attraverso la combinazione di rapporti di proporzioni.
Questa illusione ci introduce all'assenza di essere e alla sospensione dei sensi.(... ) L'architetto (1922), L'ingegnere (1928) sono opere che possono spiegare l'attrazione quasi metafisica di Sironi per la razionalizzazione prospettica dello spazio. L'uomo afferma il potere della ragione sul caos del mondo, ma questo potere non è ancora abbastanza potente per liberarlo dal caos. Sufficientemente intelligente per capire la complessità del mondo, egli è pietrificato dalla sua stessa intelligenza: stupito di questo sapere cosciente.(...)”.