Mandiamo a scuola i giornalisti

di f. trazza

Dovremmo evitare di considerare grande la stampa solo in base alla tiratura  parlare invece di grande stampa quando è in grado di fornirci lo specchio della realtà.

Succede che una delle più diffuse riviste, "Io Donna",
il femminile del Corriere della Sera, pubblichi un articolo di Milena Gabanelli nella rubrica "punto critico"
(n. 26 del 25 giugno 2005 a pag.26) dal titolo "Anche i professori contestano i quiz", riferito alle prove INValSI.

Ora tutti (almeno quelli che vogliono informarsi) sanno:
- che le prove sono qualcosa di diverso dal semplice quiz;
- che i professori possono far eseguire le prove con un maggiore o minore grado di partecipazione, ma
difficilmente si esibiscono in sterili contestazioni:
al massimo produco una situazione non ottimale per l'espletamento delle prove.

Evidentemente alla giornalista piace immaginare una realtà in cui nella scuola si fanno domandine senza senso e si vivono situazioni prive di significato.

Infatti lei non ha mai capito né perché si fanno le prove INValSI né perché è stato istituito lo stesso INValSI.

Ci dispiace che, volendosi occupare di scuola, non abbia conoscenza di questi elementi che sono gli
unici a pesare nel confronto tra gli stati europei.

E per questo vorremmo mandare a scuola i giornalisti
come lei.

Per chi pensa che la nostra lettura sia un po' faziosa, o un po' intollerante, trascriviamo qui di seguito il testo del suo articolo.

Anche i professori contestano i quiz

Lo scorso aprile, nelle scuole elementari e medie, è stato somministrato il test dell' Istituto per la valutazione del sistema dell'istruzione(Invalsi). In tre giorni, ogni singola scuola ha esaminato in forma anonima le abilità degli alunni. venticinque domande per materia, 45 minuti di tempo. «Se un chilo di spaghetti cuoce in 10 minuti, quanto tempo occorre per cuocerne mezzo chilo?».

Questa è una delle domande di scienze poste in I media; molti ragazzi hanno sbagliato, ma solo perchè non sono ancora abituati ai trabocchetti che vengono dall'alto. Poi quiz del tipo «In quale di queste figure vedi 5 quadrati?». E «Quale numero inseriresti in questa sequenza?».

Gli insegnanti sono insorti: possibile che ci riempiano di paroloni come "Profilo Educativo Culturale e Professionale" o "Piano di Studio Personalizzato" e che ci raccomandino di tener conto dei "Percorsi Formativi" di ogni alunno, per poi valutare il nostro lavoro con giochi da Settimana Enigmistica (SE in corsivo)? Replica il ministro Moratti:"La scelta del questionario è da ricondursi al carattere di maggiore speditezza, incisività e oggettività". Ma Benedetto Vertecchi, indiscussa autorità nel campo della valutazione, sostiene che questo metodo fallisce nell'obiettivo di sapere di cosa ha bisogno la Scuola, poiché indurrà gli insegnanti a insegnare agli alunni come fare a superare i test, rinunciando ad aspetti culturali ben più importanti. Inoltre,
le prove non tengono conto delle enormi differenze fra scuola e scuola. Si fa strada il dubbio che, secondo il modello anglo-americano, si vogliano ripartire i fondi per l'istruzione in base ai meriti dei singoli istituti.
Ma il ministero smentisce ogni proposito d'indagine per istituire gerarchie e graduatorie. E allora questa costosa raccolta di dati a che serve? Forse a compilare succose statistiche, quelle che Montanelli chiamava "bischerate".