Zingari e scuola
Milano,
24.5.2005. – A Milano il rischio è alto, tra paure e tensioni, tra proclami
e traslochi, che gli zingari vengano considerati come l’incarnazione del
male.
Fa fatica ad emergere la più preziosa delle opere: la scuola.
Il prefetto Bruno Ferrante denuncia l’illegalità radicata
nell’abusivismo di nomadi irregolari.
A suo dire, e non si può non credergli, sarebbero un migliaio gli
irregolari.
Ma sono gli stessi giornalisti ad amplificarne il ruolo:
"Stando alla lettera del codice,
dall'accattonaggio petulante
al borseggio nelle vie di Milano, dal furto con scasso a reati
via via più duri, c’è una criminalità preoccupante, anche se in fondo minore
rispetto al racket e alle rapine della malavita organizzata. Io credo che le
prime vittime di questi buchi neri nella sicurezza milanese siano gli stessi
immigrati regolari". (Gaspare Barbiellini Amidei, La tolleranza e il
rigore,
Corriere della sera, Milano, p.1, 24.5.05).
Poi, naturalmente, sono i primi, i giornalisti, ad ammettere
che non ha senso andare avanti di sgombero in sgombero, spostando i problemi
di qualche chilometro.
C’è da notare però che su questa direzione i politici ci
godono molto, perché hanno di che litigare, tra sindaco
del centro del territorio su cui insistono gli zingari (Milano),
e sindaco delle periferie in cui si accampano
(Sesto San Giovanni). Né svolge un qualche ruolo di mediazio-ne o di
pianificazione il re delle periferie (il presidente della Provincia di
Milano). Litigano tutti. Nessuno che si ponga il valoroso ruolo della scuola
e la sua funzione strategica, se solo fosse coltivata con la dovuta
attenzione.
Secondo i dati forniti dall’Ufficio scolastico regionale
i minori nomadi sono presenti in circa 72 scuole
di Milano e provincia.
Ma abbiamo esperienza diretta di come la stampa
(da La Repubblica a Il Corriere della Sera)
tratti i
comunicati dell’ Ufficio scolastico regionale: non li legge e,
se li legge, non li pubblica; preferisce raccogliere scandali tra corridoi e giardinetti. Salvo
poi a dover fare i conti, senza saperli fare, con il
peso che tra tante difficoltà la scuola svolge nella società per temperarne le più evidenti dissonanze.
Per fortuna interviene il presidente della Casa della Carità
di Milano, Virginio Colmegna, che legge sul serio i dati
forniti dall’Ufficio Scolastico Regionale, prende carta e penna
e scrive sul diritto allo studio dei piccoli rom e
sull’mpegno conseguente per la scuola e gli amministratori.
"Aver sollevato la questione partendo dal diritto dei
minori a frequentare un itinerario di apprendimento scolastico è
qualificante perché permette di uscire da quella situazione di proclami fini
a se stessi che poi riducono la questione dei nomadi a problema solo di
ordine pubblico (che esiste), o di denunce che coagulano atteggiamenti
contrastanti di rifiuto o di rassegnata impotenza. Non si può non porre la
questione culturale, cercando di capire che 832 minori iscritti a scuola
richiedono una strategia complessiva.
Vanno coinvolti tanti soggetti, tra cui, oltre alla scuola e agli enti
locali, anche quelle realtà associative che anche in questo periodo
continuano a fare opera di presenza, stando sul campo, con le famiglie,
cercando di favorire azioni di mediazione culturale. Non si riuscirà ad
uscire dall’emergenza se questo obiettivo non diventa strategia che fa
convergere risorse, competenze, professionalità
di mediatori, continuità non
solo di natura volontaristica. Si esige un piano che raccolga anche le
esperienze positive che già ci sono o che non hanno potuto decollare perché
troppo è il divario tra esigenze e risorse (non solo economiche).
Nessuno ce la fa da solo, ma anche è urgente dare a questa esigenza una
priorità che qualifica una cittadinanza. È doverosa la programmazione
integrata, ma è anche urgente porre questo problema come responsabilità di
civiltà e non come manifestazione di generosità semplicemente. Sarà così
possibile favorire un interscambio tra scuola, famiglie, territorio. Non
basta iscriverli a scuola: è urgente capire, superare un abitare da favelas,
stare davvero tanto con loro. È richiesta una grande flessibilità, ma questa
è la strada maestra per cercare di non allontanare il problema, o
descriverlo soltanto. Chi cerca di stare con loro avverte per primo quanti
gravi problemi di disagio e di ordine pubblico ci sono. Ma anche avverte che
i minori se seguiti sono una straordinaria risorsa per avviare un cammino di
dialogo e di rispetto, ma anche di comprensione dei nodi culturali e di
stili di vita che chiedono tanto, tanto ascolto e il rispetto di una
diversità che forse a volte non avvertiamo. Anche perché si è spezzato
l’anello di quella fiducia, ma soprattutto si è smesso di considerarlo un
popolo con la sua storia avendolo ridotto ad essere assorbito
nell'emergenza.
Richiedere che i minori vadano a scuola, che si predisponga un piano di
inserimento qualificato e diversificato è una priorità che bene si è fatto
ad evidenziare proprio perché non si discuta solo quando scatta l'allarme
sociale o quando scoppiano casi clamorosi che colpiscono l'opinione
pubblica. Ma proprio per questo si richiede di valorizzare e di promuovere
anche sul piano culturale questa urgenza. L'area metropolitana che chiede
tanto sviluppo e modernità deve capire che solo così si fa prevenzione e si
contribuisce alla coesione sociale. Monitorare la situazione è doveroso, ma
quanto mai impegnativo: quando si evidenzia un problema che riguarda i
minori intervenire è un dovere che coinvolge tutti."
A noi piacerebbe che almeno la metà di quanti pensano all’Africa,
all’Asia, all’America latina e alla triste condizione dei bambini che
nascono lì, si ricordasse dei bambini che nascono in Europa tra i rom. E a
Milano.
Cosa facciamo, tutti, per la "loro" scuola?