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La fabbrica e il mondo industriale nela rappresentazione dei contemporanei.
Se John Martin diede all'Inferno l'aspetto dell'industria, gli illustratori contemporanei spesso diedero all’industria l'aspetto dell'Inferno. Sembra che essi avessero una predilezione per quei panorami industriali che davano luogo a tale paragone. Anche per Martin sarebbe stato difficile immaginare una veduta più infernale che l'acquatinta di W. Read intitolata Ritirando le storte al grande impianto per l'illuminazione a gas, Brick Lane, Londra, frontespizio del volume per il 1821 di «The Monthly Magazine». Ormai gli stessi cotonifici avevano perso il loro piacevole aspetto di case di campagna, e le loro proporzioni classiche. Erano edifici immensi e sgradevoli, che gli incisori contemporanei rappresentano simili a prigioni, adatti sia a sostenere un assalto di uomini armati dall'esterno sia per mantenere una rigida disciplina all'interno. Tutto ciò che W. H. Pyne trova da dire a proposito dei cotonifici di Union Street a Manchester è che nell'aspetto esterno «notiamo solo che sono molto alti».
È anche significativo che ora per la prima volta nella lunga storia delle miniere di carbone un artista le scelga come soggetto per uno studio sistematico. Nel 1839 Thomas H. Hair, un pittore che espose alla Royal Academy e alla British Institution tra il 1838 e il 1849, pubblicò Sketches of the Coal Mines in Northumberland & Durham, un volume di acqueforti tratte dai suoi disegni, conservate alla School of Mines, a Newcastle sul Tyne. Nel 1844 furono ristampate in un volume che conteneva tavole aggiunte con un testo di M. Ross, stampatore dell'opera ed editore di due libri sulla topografia di Durham c Newcastle sul Tyne. Tuttavia nel 1860 fu pubblicata un'altra edizione, con un testo in gran parte riveduto da W. Fordyce.
I disegni di Hair sono obiettive documentazioni dei macchinari nei pressi dei pozzi minerari, degli scali per carbone, ferrovie e gallerie sotterranee, tuttavia le installazioni dall'aspetto primitivo e quei luoghi desolati hanno un'aria di cupa tristezza adatta all'atmosfera del periodo. William Howitt (1792-1879) un farmacista di Nottingham, un altro scrittore che si interessava sia di archeologia sia di industria, nel suo Visit to Remarkable Places descrive l'effetto dei bacini carboniferi su un visitatore del Sud. Egli scrive:
... Qua e là nella pianura si vedevano passare lunghe file di vagoni di carbone a gran velocità, senza cavalli o sorveglianti, o alcun altro motore apparente eccetto la loro forza pazzesca; invero sembravano tirati o spinti da demoni invisibili, perché il loro procedere era accompagnato dai più comici fischi e mormorii, stridii e sbuffi che si possano immaginare. Solo avvicinandosi a questi treni-drago ci si accorgeva... [che essi] erano spinti da motori fissi... una lunga corda che corre su pulegge o carrucole, tutte in moto sui propri assi, provoca gli strani rumori e fischi che si sentivano... fra tutti questi suoni e paesaggi bizzarri, la voce del cucù e il gracchiare del corvo giungevano a intervalli a rassicurarmi che mi trovavo ancora sulla terra e nel cuore della primavera e non costretto in qualche luogo popolato da ruote matte e macchine possedute da spiriti ribelli.
In un paragrafo precedente egli aveva notato:
Dovunque si ergessero questi enormi edifici per macchine, torreggiavano in alto anche due colonne, una di fumo nero e una, vicino, di vapore bianco. Queste colonne parallele, come gli spettri di Ossian, si slanciavano nel vento, e ondeggiavano simili a fantasmi nell'aria, ognuna somigliante a uno spettro nero che avesse in custodia uno spettro bianco e lo costringesse a enormi fatiche; e i rumori che si levavano nell'aria confermavano tale credenza. Alcuni di questi motori gemevano, altri sbuffavano, altri emettevano i più incredibili sospiri e sbadigli; come se si trattasse degli Ifrit e altri esseri sovrannaturali dei racconti orientali, che costretti a fatiche eccezionali le compissero con disperazione.
Nel suo testo all'edizione del 1844 degli Sketches di Hair, Ross dà un ritratto dei minatori veri e propri. Essi andavano al lavoro in giacche di flanella a quadretti, panciotto e pantaloni, con una bottiglia a tracolla e una cartella al fianco.
Ad ogni ora del giorno e della notte si vedono gruppi di uomini e ragazzi, vestiti in questo modo, avviarsi verso la miniera... Essi scendono nel pozzo per mezzo di un cesto o «carrello» o anche solo lasciandosi scivolare lungo una catena attaccata all'estremità del cordame, e scendono impensabilmente in fretta, grazie a un motore a vapore. Puliti e in ordine, essi si precipitano freddamente in un cratere nero, fumoso e apparentemente senza fondo, dove sembra impossibile che un cuore umano possa battere o polmoni respirare. Circa nello stesso istante altri risalgono, neri quasi come ciò che cercano, bagnati e stanchi. In una sera scura mi sono fermato vicino alla bocca di un pozzo, illuminato da una lanterna sospesa, piena di carboni ardenti, che gettava un riflesso vivido ma intermittente sulle figure scure che mi circondavano; dal pozzo usciva un fumo denso come quello d'una locomotiva a vapore; gli uomini, dal viso sudicio di fuliggine, osservavano qua e là con occhi lucenti, e quando parlavano attraverso le labbra rosse si intravedevano i denti d'avorio; i motori a vapore risonavano e scoppiettavano; le caldaie fischiavano, con gran baccano interrotto solo dal grido forte, triste e musicale dell'uomo fermo all'accesso del pozzo, che chiamava i suoi compagni al fondo. Nell'insieme è una scena spaventosa e selvaggia quanto può desiderare di vedere un pittore o un poeta.
Sostituendo il sentimentale al sublime, è difficile credere che il pittore di genere Henry Perlee Parker (1795-1873), di Newcastle, non avesse composto il quadro Minatori che giocano a «quoits» per illustrare questo passo, ed è certo che egli dipinse gli abiti e gli strumenti dei minatori con la massima fedeltà.
Howitt completa la descrizione di Ross con un vivace brano sui minatori fuori servizio.
Nell'abbigliamento amano mostrarsi sfarzosi e hanno il gusto delle stoffe dai colori brillanti. I loro panciotti da festa, che essi chiamano «vestiti fioriti», recano spesso curiosi disegni, con fiori in varie tinte; e portano calze color blu, rosse, rosa o multicolori. Una gran parte di loro tiene i capelli molto lunghi, e nei giorni di lavoro li annodano in una treccia, o li arrotolano a ricci; ma quando indossano gli abiti migliori, in genere li lasciano sciolti sulle spalle. Alcuni di essi portano sul cappello due o tre sottili nastri, messi ad uguale distanza, in cui hanno l'abitudine di infilare mazzetti di primule o altri fiori.
I borghesi che visitavano una miniera provavano un senso di stupore e paura; non dovuto però solo alla stranezza della scena, all'aspetto selvaggio dei minatori o alla pericolosità del loro lavoro. L'effetto prodotto era rafforzato dalla crescente consapevolezza che i minatori, anzi i lavoratori industriali in generale, cominciavano a formare una nazione distinta, sempre più numerosa e più ostile. In riferimenti sparsi nella letteratura del tempo si sente una debole eco delle terribili lotte che i minatori del Northumberland e Durham sostennero tra il 1820 e il 1835 per il riconoscimento del loro sindacato. Questo, ad esempio, della miniera di South Hetton:
Nel 1832 durante la sommossa di uno sciopero, un minatore chiamato Errington, che aveva consentito a lavorare, fu trovato morto il mattino di domenica 22 aprile; era stato colpito da una fucilata durante la notte. I sentimenti dei minatori erano così esasperati a quell'epoca che quando il funerale passò davanti alle porte, venne assalito da grida e bestemmie.
Oppure questo esempio della miniera Waldridge, quando i proprietari avevano importato minatori di piombo per reprimere uno sciopero:
Il 24 dicembre 1831, mentre venti o trenta di questi uomini erano nel pozzo, più di mille minatori si riunirono alla bocca del pozzo con atteggiamento ribelle, fermarono il motore, che era necessario tenere in funzione per pompare fuori l'acqua; poi tirarono dentro il pozzo grosse botti di ferro, cisterne di legno, carrelli e altri oggetti, mettendo in grandissimo pericolo imminente gli uomini che si trovavano sotto...
Con lo sviluppo fra il 1830 e il 1850 del cartismo, lo scrittore del Sud che veniva a visitare le industrie riceveva un'impressione sempre più influenzata dai suoi atteggiamenti politici e sociali. È istruttivo paragonare la descrizione fatta da Dickens della visita di Pickwick a Birmingham, scritta nel 1836 quando il cartismo era ancora un movimento pacifico guidato da capi moderati, con il sinistro resoconto del Paese Nero visto dalla piccola Nell, nel 1840. Ecco cosa vide Pickwick sbirciando dal finestrino della sua carrozza:
Tutto annunciava che stavano avvicinandosi rapidamente alla grande città industriale di Birmingham: le case sparse ai lati della strada, la tinta sporca di ogni oggetto visibile, l'atmosfera fosca, i viottoli di cenere e polvere di mattone, il riflesso rosso cupo dei fuochi delle fornaci in distanza, le volute di fumo denso che usciva in gran quantità dagli alti camini cadenti, che oscuravano e annerivano tutte le cose; lo scintillio di luci lontane, e i pesanti vagoni che avanzavano lungo la strada, carichi di verghe di ferro che battevano tra loro, o di merci pesanti.
Mentre questi avanzavano rumorosamente attraverso le strette vie che conducevano al centro del tumulto, i sensi erano maggiormente colpiti dalla vista e dai rumori di un laborioso affaccendarsi. Le strade erano affollate di lavoratori. Da ogni casa usciva un brusio operoso; luci brillavano alle lunghe finestre a due battenti degli attici, e il fruscio delle ruote e il rumore delle macchine faceva tremare i muri. I fuochi, la cui cupa luce spettrale si vedeva già da molte miglia, ardevano alti nelle grandi fabbriche e officine della città. Lo strepito dei martelli, l'irrompere del vapore, lo sferragliare dei motori: questa era la musica discordante che proveniva da ogni quartiere.
Quattro anni dopo, quando, in seguito alla sconfitta della prima grande agitazione cartista, molti capi del cartismo erano ancora in prigione e ambedue le parti radunavano le forze per il secondo round della lotta, il turbamento mentale di Dickens si esprime non solo nello scegliere la «fosca Wolverhampton» di Anna Seward come scenario per le ultime e peggiori tribolazioni della piccola Nell e di suo nonno, ma anche con un atto di accusa, così carico di emozione che quasi cessa di essere prosa:
Un grande sobborgo di case di mattoni rossi: alcune con un pezzetto di giardino, dove la polvere di carbone e il fumo delle fabbriche anneriscono le striminzite foglie e i fiori comuni; dove la vegetazione che cerca di crescere si ammala e avvizzisce sotto il caldo alito dei forni e delle fornaci, mentre la sua presenza fa apparire questi ultimi ancora più malevoli e nocivi che nella città vera e propria. Passato dunque il grande sobborgo monotono e sparpagliato, giunsero a poco a poco a una regione triste, dove non spuntava un filo d'erba, né a primavera appariva un germoglio, dove l'unica vegetazione cresceva sulla superficie di acque stagnanti che si estendevano qua e là vicino alla strada nera.
... Da ogni lato, e fin dove l'occhio poteva spaziare in lontananza, alti camini, addossati l'uno all'altro, in una ripetizione infinita della stessa forma monotona e spiacevole, come in un brutto sogno, riversavano fumo nocivo, oscuravano il sole e inquinavano quella malinconica atmosfera. Su mucchietti di cenere vicino alla strada, nascosti solo da poche rozze assi o da tetti rotti di capanne, strani meccanismi giravano e fremevano come esseri torturati facendo risuonare le catene di ferro, emettendo di tanto in tanto sibili nel loro frenetico girare come in un insopportabile tormento facendo tremare il terreno intorno. Qua e là apparivano case semidemolite e pendenti verso terra, sostenute da resti di altre ormai crollate, senza tetto o finestre, annerite, devastate, ma tuttavia ancora abitate. Uomini donne e bambini, dall'aria esangue e dagli abiti stracciati, accudivano alle macchine, alimentavano fuoco, elemosinavano sulla strada, o imprecavano seminudi dalle case senza porte. Poi vennero altri mostri terribili, tali infatti sembravano a causa del loro aspetto selvaggio, e dell'atteggiamento ribelle, che stridevano e giravano continuamente in tondo; e ancora, a destra, a sinistra, davanti e dietro, vi era la stessa interminabile prospettiva di torri di mattoni, che non smettevano mai di vomitare fumo nero, distruggendo ogni cosa, animata o inanimata, oscurando la luce del giorno e avvolgendo tutti questi orrori in una densa nuvola scura.
Ma trovarsi di notte in questo luogo orrendo! Di notte quando il fumo si mutava in fuoco; quando da ogni camino sprizzavano fiamme, quando luoghi, che durante il giorno erano stati caverne cupe, ora scintillavano ardenti, con figure che si aggiravano qua e là nelle loro gole risplendenti, chiamandosi con grida roche. Di notte! Quando l'oscurità aumenta il rumore di ogni macchina estranea; quando l'aspetto degli uomini pare ancora più crudele e selvaggio; quando gruppi di operai disoccupati dimostravano per la strada, o a lume di torcia si radunavano intorno ai capi, i quali spiegavano loro con dure parole i torti subiti, e li incitavano a grida e minacce spaventose...
(F.D. Klingender, Arte e rivoluzione industriale, Einaudi, Torino, 1972, pp. 175-181)
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