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Origini e caratteri della rivoluzione industriale inglese

Incominciamo dunque con la Rivoluzione Industriale, e cioè con la Gran Bretagna. A prima vista potrebbe sembrare un punto di partenza arbitrario, poiché le ripercussioni di questa rivoluzione non si fecero sentire in maniera evidente ed inequivocabile - almeno fuori dell'Inghilterra - se non in una fase assai avanzata del periodo storico da noi considerato, comunque non prima del 1830, e forse addirittura intorno al 1840. Solo dopo il 1830 la letteratura e le arti incominciarono ad essere palesemente influenzate dall'ascesa della società capitalistica, da quel mondo in cui tutti i legami sociali andavano in frantumi, tranne quelli implacabili del denaro in oro o carta che fosse (la frase è di Carlyle). A quel decennio appartiene la Comédie Humaine di Balzac, il più straordinario monumento letterario di quel periodo. Solo verso il 1840 incominciò a scorrere la grande fiumana della letteratura ufficiale e non ufficiale sugli effetti sociali della Rivoluzione Industriale: i principali «Libri Azzurri» e le indagini statistiche in Inghilterra, il Tableau de l'état physique et moral des ouvriers di Villermé, la Condition of the Working Class in England di Engels, le opere di Ducpétiaux in Belgio e quelle di decine di osservatori turbati o atterriti, dalla Germania alla Spagna e agli Stati Uniti d'America. Solo dopo 1840 il proletariato, figlio della Rivoluzione Industriale, e il comunismo, che si andava affiancando a quei movimenti sociali - il famoso spettro del Manifesto Comunista - incominciarono a marciare attraverso il continente. Il nome stesso di Rivoluzione Industriale indica gli effetti, relativamente tardivi, che essa ebbe sull'Europa. In Inghilterra il fenomeno era già considerevolmente sviluppato, quando i socialisti francesi ed inglesi coniarono questo termine. Il che avvenne solo dopo il 1820 e probabilmente per analogia con la rivoluzione politica francese. Considerare prima la Rivoluzione Industriale è opportuno per due ragioni: anzitutto perché in effetti essa si verificò prima dell'assalto alla Bastiglia; in secondo luogo perché senza di essa non potremmo capire l'impersonale ondeggiamento, il ritmo incostante della storia, dal quale scaturirono gli uomini e i fatti più salienti dell'epoca che qui consideriamo.
Che vuol dire: «si verificò la Rivoluzione Industriale»? Vuol dire che ad un certo momento, dopo il 1780, e per la prima volta nella storia dell'umanità, vennero spezzate le catene che imprigionavano le capacità produttive delle società umane, che, da allora in poi, furono in grado di perseguire un costante, rapido e, fino ad oggi, illimitato incremento demografico, dei beni di consumo e dei mezzi di produzione. Tale fenomeno è oggi definito dagli economisti come «l'inizio di uno sviluppo autonomo». Nessuna società precedente era stata capace di strappare il freno imposto alla produzione da una struttura sociale pre-industriale, da una scienza e da una tecnica deficienti e dalle conseguenti periodiche sconfitte, carestie e mortalità. Questo «inizio» non fu, naturalmente, uno di quei fenomeni che, come i terremoti o le grandi meteore, prendono il mondo di sorpresa. I suoi precedenti, in Europa, si possono far risalire, a seconda degli storici considerati e della portata del loro interesse, addirittura al 1000 d. C., e si è persino dato il nome altisonante di «rivoluzione industriale» a taluni precedenti tentativi di evoluzione - goffi come i primi esperimenti di volo di un anatroccolo - compiuti nel XIII, nel XVI e negli ultimi decenni del XVII secolo. Verso la metà del '700 i segni precursori del fenomeno sono così evidenti che alcuni storici del passato erano propensi a far risalire la Rivoluzione Industriale al 1760. Ma un'indagine accurata ha indotto la maggior parte degli esperti a considerare come decennio decisivo non quello che va dal 1760 al 1770, bensì quello iniziatosi col 1780, perché proprio allora, per quanto ci consta, tutti i principali indici statistici subirono quell'improvviso scarto quasi verticale che è appunto il segno dell'inizio della Rivoluzione Industriale. L'economia divenne, per così dire, astronomica.
È logico chiamare questo fenomeno col nome di Rivoluzione Industriale, ed è anche conforme a una tradizione ormai radicata, benché vi sia stata un tempo fra gli storici conservatori una certa propensione - dovuta probabilmente alla diffidenza per i concetti incendiari - a negarne l'esistenza e a sostituire tale termine con espressioni più banali, come «evoluzione accelerata». Se l'improvvisa, fondamentale trasformazione qualitativa che si verificò attorno al 1780 non fu una rivoluzione, allora questa parola non ha più significato logico. La Rivoluzione Industriale, infatti, non fu un episodio con un principio e una fine. E non ha senso chiedersi quando essa ebbe «termine», poiché la sua caratteristica essenziale è appunto il fatto che, da allora in poi, i mutamenti rivoluzionari divennero la norma. La rivoluzione continua ancora, è giunta sino ai nostri giorni. Tutt'al più ci potremmo chiedere in quale momento le trasformazioni economiche siano giunte ad una fase tanto avanzata da determinare la formazione di un'economia sostanzialmente industriale, capace di produrre qualsiasi merce nei limiti imposti dai mezzi tecnici esistenti, cioè, detta in linguaggio tecnico, un'economia industriale matura. In Gran Bretagna e, in seguito, in tutto il mondo, il periodo iniziale dell'industrializzazione, coincide quasi esattamente con il momento storico di cui si occupa il nostro libro. Infatti, se, da un lato, l'improvvisa ascesa economica verificatasi dopo il 1780 costituisce l'inizio della Rivoluzione Industriale, d'altra parte è lecito affermare che questa si conclude con la costruzione delle ferrovie e la creazione dell'industria pesante, il che in Inghilterra si verificò in grandi proporzioni nel decennio successivo al 1840. In ogni caso la Rivoluzione vera e propria, il «periodo iniziale», si può far risalire, con il grado d'approssimazione consentito in casi del genere, al ventennio che va dal 1780 al 1800, epoca che precede di poco la Rivoluzione Francese.
La Rivoluzione Industriale cominciò in Inghilterra. Non si tratta, evidentemente, di un caso fortuito. Anche se nel secolo XVIII si verificò una vera e propria «corsa al primato» nel rivoluzionare le forme della produzione, chi diede inizio al fenomeno fu in realtà un solo paese. Era una fase di grandi progressi industriali e commerciali, incoraggiati da ministri e funzionari governativi intelligenti e tutt'altro che ingenui dal punto di vista economico, e questo accadeva in tutte le monarchie illuminate d'Europa, dal Portogallo alla Russia, e l'interesse di quel ceto dirigente per lo «sviluppo economico» era per lo meno pari a quello degli odierni amministratori.
Un'industrializzazione veramente imponente era anzi in atto in alcuni stati minori o in regioni secondarie, ad esempio in Sassonia e nella diocesi di Liegi; ma quei complessi produttivi erano troppo piccoli e isolati per esercitare un'influenza rivoluzionaria mondiale, come accadde invece per quelli britannici. Comunque, ancor prima della Rivoluzione Industriale, l'Inghilterra si trovava già, rispetto al più importante dei suoi concorrenti potenziali, in una posizione di netto vantaggio per quanto concerne la produzione e il commercio pro capite, se non per quanto riguarda la mole complessiva della produzione e del commercio.
Qualsiasi causa vogliamo invocare per spiegarlo, il progresso britannico non era comunque dovuto alla superiorità scientifica e tecnica degli inglesi. Nelle scienze naturali i francesi erano certamente più avanti, e la Rivoluzione Francese non fece che accentuare questo vantaggio, soprattutto nella matematica e nella fisica, perché in Francia, con la rivoluzione, le scienze vennero sempre maggiormente incoraggiate, mentre in Inghilterra la reazione ne diffidava. Anche nelle scienze sociali gli inglesi erano ancora ben lontani da quella superiorità che fece in seguito dell'economia una disciplina prevalentemente anglosassone; ma la Rivoluzione Industriale fece ben presto assumere loro una incontrastata posizione di primo piano. In materia di economia, dopo il 1780, facevano testo le opere di Adamo Smith, ma anche - e forse più - quelle dei fisiocrati e dei contabili erariali francesi, di Quesnay, di Turgot, di Dupont de Nemours, di Lavoisier, nonché, probabilmente, di qualche italiano. Ai francesi si dovevano invenzioni più originali, come il telaio Jacquard (1804) - un'apparecchiatura più complessa di quelle costruite in Gran Bretagna - e navi migliori. I tedeschi possedevano istituti di istruzione tecnica, come la Bergakademie prussiana, che non avevano l'uguale in Gran Bretagna, mentre dalla Rivoluzione Francese nasceva quel complesso singolare e imponente che è l'École Polytechnique. L'istruzione inglese era uno scherzo di cattivo gusto, benché le sue manchevolezze fossero in parte compensate dalle rigide scuole di villaggio e dalle austere, turbolente, democratiche università della Scozia calvinista, che riversavano sulle regioni del sud tutta una schiera di giovani brillanti, volenterosi, ambiziosi e razionalisti: James Watt, Thomas Telford, Loudon McAdam, James Mill. Oxford e Cambridge, le due sole università esistenti in Inghilterra, culturalmente non valevano nulla, e così anche le sonnolente scuole pubbliche, o scuole di grammatica, ad eccezione delle accademie fondate dai «Dissenzienti», che erano comunque esclusi dall'organismo educazionale (anglicano). Le famiglie aristocratiche, che volevano istruire i propri figli ricorrevano ai precettori o alle università scozzesi. All'inizio del secolo XIX non esisteva alcun sistema di istruzione primaria, prima che il Quacchero Lancaster, e dopo di lui i suoi avversari anglicani, dessero inizio a una massiccia produzione volontaria di letteratura elementare, infarcendo cosi per sempre - sia detto per inciso - la scuola inglese di polemiche settarie. Timori di carattere sociale scoraggiavano l'istruzione dei poveri.
Fortunatamente, non era indispensabile una grande raffinatezza culturale perché si compisse la Rivoluzione Industriale. Le invenzioni erano estremamente modeste, e non andavano mai al di là degli esperimenti compiuti nelle loro botteghe da artigiani intelligenti o delle capacità costruttive di un falegname, di un tessitore o di un fabbro: la spola volante, la gianetta, il filatoio intermittente. La stessa macchina a vapore di James Watt (1784), il congegno tecnicamente più complesso, non richiedeva la conoscenza di cognizioni fisiche superiori a quante ne possedeva in precedenza il secolo XVIII; i fondamenti teorici della macchina a vapore vennero elaborati solo verso il 1820 dal francese Carnot e da essi derivarono innumerevoli applicazioni pratiche, specialmente nelle miniere. Una volta verificatesi le condizioni opportune, le innovazioni tecniche della Rivoluzione Industriale scaturivano praticamente da sé, salvo nel caso dell'industria chimica. Ciò non significa che i primi industriali non si interessassero alle scienze e non vegliassero sulla possibilità di sfruttarne i benefici pratici.
Le condizioni opportune evidentemente si erano già verificate in Gran Bretagna; infatti più di un secolo era trascorso da quando il primo re era stato formalmente processato e giustiziato dal suo popolo, e da quando gli interessi e i progressi economici privati erano stati accettati come i supremi obiettivi della politica del governo. Il problema agrario britannico era stato effettivamente risolto in maniera singolarmente rivoluzionaria. Un pugno relativamente ristretto di grandi proprietari dalla mentalità commerciale praticamente già aveva instaurato una sorta di monopolio della terra, che veniva coltivata da fittavoli i quali si servivano di manodopera composta di nullatenenti o di piccoli proprietari. Rimanevano ancora parecchi residui dell'antica economia collettiva del villaggio, che sarebbero stati eliminati in seguito degli Enclosure Acts (1760-1830) e mediante transazioni private, ma non si può più parlare di una «classe contadina britannica», nello stesso senso in cui si parla di classe contadina francese, tedesca o russa. La coltivazione delle terre era già diretta prevalentemente ad alimentare il mercato; l'attività manifatturiera si era già da tempo diffusa nella campagna non più feudale. L'agricoltura era ormai pronta a svolgere quelle che erano le sue tre funzioni fondamentali in un'era di industrializzazione: incrementare la produzione e la produttività per sopperire alla necessità alimentari di una popolazione non agricola in rapido aumento; fornire una quantità sempre crescente di manodopera potenziale disponibile per le città e per le industrie; provvedere un meccanismo per l'accumulo di capitale da impiegare nei settori più moderni dell'economia. E vi erano altre due funzioni, che però in Gran Bretagna erano probabilmente meno importanti: quella di creare un mercato abbastanza vasto tra la popolazione agricola - normalmente la grande massa del popolo - e di alimentare l'esportazione, che contribuiva a permettere l'importazione di capitali. Si andava già creando una quantità considerevole di capitale sociale fisso - costituito dalle costose attrezzature generali che consentono all'economia di progredire costantemente - specialmente per le costruzioni navali e i porti, e per il miglioramento delle vie di comunicazione terrestri e marittime. La politica era ormai bene avviata verso il guadagno. Alle esigenze specifiche degli uomini d'affari si opponevano sovente altri interessi padronali; come vedremo, tra il 1795 e il 1846 gli agrari eressero un'ultima barriera per frenare il progresso dell'industrializzazione. In linea generale, però, si ammetteva unanimemente che il denaro permetteva non solo di discutere liberamente ma anche di governare. Perché un industriale fosse ammesso tra i maggiorenti della società, bastava che avesse denaro a sufficienza.
L'uomo d'affari si trovava senza dubbio sulla via di una sempre maggiore ricchezza pecuniaria, perché la maggior parte del secolo XVIII fu per quasi tutta l'Europa un periodo di prosperità e di comoda espansione economica: era questo motivo fondamentale del beato ottimismo del Pangloss di Voltaire. Si potrebbe benissimo supporre che presto o tardi questa espansione, accompagnata da una graduale inflazione, avrebbe spinto qualche paese a varcare la soglia che separa l'economia preindustriale da quella industriale. Ma il problema non è tanto semplice. Buona parte dell'espansione industriale del secolo XVIII non portò infatti, immediatamente a una rivoluzione industriale, cioè alla creazione di un «sistema di fabbriche» che a loro volta producessero tali quantità di merci e a costi tanto rapidamente decrescenti da non dover più dipendere dalla domanda esistente, ma capaci di crearsi un loro proprio mercato. Per esempio, nei Midlands britannici e nello Yorkshire, l'industria edilizia o le numerose piccole industrie produttrici di ferramenta - chiodi, pentole, coltelli, forbici, ecc. - si svilupparono notevolmente in quel periodo, ma sempre in funzione del mercato esistente. E pur producendo nel 1850 più di quanto producessero nel 1750, la produzione avveniva sostanzialmente sempre alla vecchia maniera. C'era dunque bisogno non di uno sviluppo purchessia, non di quell'espansione da cui nacque Birmingham, ma di quel particolare tipo di sviluppo industriale da cui nacque Manchester.
D'altronde, le primissime rivoluzioni industriali avvennero in una particolare situazione storica nella quale lo sviluppo economico nasceva dalle iniziative contrastanti di innumerevoli imprenditori e investitori privati, ciascuno dei quali obbediva al principale comandamento dell'epoca: comprare al prezzo più basso e vendere al prezzo più alto. Come avrebbero scoperto che il massimo guadagno si sarebbe potuto ottenere non con le solite - e per il passato più redditizie - attività commerciali, ma con una rivoluzione industriale organizzata? Come avrebbero appreso ciò che nessuno ancora poteva sapere, e cioè che la Rivoluzione Industriale avrebbe causato un'accelerazione senza precedenti dell'espansione dei loro mercati? Posto che fossero già state gettate le prime basi sociali di una società industriale, come era certamente avvenuto nell'Inghilterra del secolo XVIII, due cose erano necessarie: primo, un'industria che offrisse già guadagni eccezionali a quei fabbricanti che fossero stati in grado di sviluppare rapidamente la propria produzione, se necessario, con semplici innovazioni non troppo costose; secondo, un mercato mondiale monopolizzato in gran parte da un'unica nazione produttrice.
Queste considerazioni si applicano in certo qual modo a tutti i paesi, per il periodo storico di cui ci occupiamo. Per esempio, lo sviluppo industriale vide dappertutto ai primi posti i fabbricanti di prodotti di largo consumo - principalmente, ma non esclusivamente, i tessuti - perché per tali prodotti esisteva già un mercato di massa e gli speculatori potevano vederne chiaramente le possibilità di espansione commerciale. Sotto altri aspetti, invece, tali considerazioni si applicano alla sola Gran Bretagna. Là i pionieri dell'industria si trovavano di fronte ai problemi più difficili. Una volta iniziata l'industrializzazione dell'Inghilterra, anche altri paesi cominciarono a godere i benefici della rapida espansione economica che i pionieri della Rivoluzione Industriale avevano determinato. Per di più, il successo britannico era una dimostrazione dei risultati che si potevano raggiungere, e quindi si tendeva a imitare la tecnica britannica, a importare capitale e manodopera specializzata britannica. L'industria tessile sassone, incapace di escogitare nuovi mezzi di produzione, copiava le invenzioni inglesi, talvolta anche sotto la direzione di tecnici anglosassoni; altri inglesi, che avevano una certa simpatia per il continente, per esempio i Cockerill, si stabilirono nel Belgio e in varie parti della Germania. Tra il 1789 e il 1848 l'Europa e l'America furono invase da esperti, macchine a vapore, macchinari per la lavorazione del cotone e capitali, tutti provenienti dalla Gran Bretagna. Questo paese non ebbe però tali vantaggi. D'altra parte, possedeva un'economia abbastanza forte e uno stato abbastanza aggressivo per conquistare tutti i mercati della concorrenza. E infatti, le guerre del 1793-1815, ultima e decisiva fase di un duello secolare anglo-francese, eliminarono praticamente dal mondo extra-europeo tutti i rivali, tranne, fino a un certo punto, i giovani Stati Uniti d'America. Inoltre, la Gran Bretagna possedeva un'industria mirabilmente adatta ad incanalare la Rivoluzione Industriale sul sentiero del capitalismo e una congiuntura economica che le forniva questa possibilità: l'industria cotoniera e l'espansione coloniale.

(E. J. Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi 1789-1848, Il Saggiatore, Milano, 1962, pp. 45-52)
 

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