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La rivoluzione industriale come fatto socio-culturale

La continuità del mondo agricolo.
Tra il 1780 e il 1850, in meno di tre generazioni, una profonda Rivoluzione che non aveva precedenti nella storia dell'umanità cambiò volto dell'Inghilterra. Da allora il mondo non fu più lo stesso. Gli storici hanno sovente usato e abusato del termine «Rivoluzione» per significare un mutamento radicale, ma nessuna Rivoluzione è stata così drammaticamente rivoluzionaria come la Rivoluzione industriale salvo la Rivoluzione neolitica. Ambedue queste Rivoluzioni cambiarono per così dire il corso della storia, creando ciascuna di esse una discontinuità nel processo storico. La Rivoluzione neolitica trasformò l'umanità da un insieme slegato di bande di cacciatori «piccoli, brutali e malvagi» in un insieme di più o meno interdipendenti società agricole. La Rivoluzione industriale trasformò l'uomo da agricoltore-pastore in manipolatore di macchine azionate da energia inanimata.
Tra il cacciatore del paleolitico e l'agricoltore del neolitico c'è un abisso; la differenza è quella tra lo stadio selvaggio e quello della civiltà. Però il mondo dell'uomo rimase un mondo di piante e di animali. La Rivoluzione industriale aprì le porte a un mondo completamente nuovo: un mondo di nuove e inusitate fonti di energia, quali il carbone, il petrolio, l'elettricità, l'atomo, sfruttate mediante convertitori vari: un mondo in cui l'uomo si trova a poter disporre di masse di energia inconcepibili nel precedente mondo bucolico. Da uno stretto punto di vista tecnologico-economico la Rivoluzione industriale può giustificatamente venir definita come il processo attraverso il quale una società acquisisce il controllo di vaste fonti di energia inanimata. Ma una tale definizione non fa giustizia al fenomeno né per quanto riguarda le lontane origini del fenomeno stesso, né per quanto riguarda tutte le sue applicazioni economiche, culturali, sociali e politiche. Precedentemente alla Rivoluzione industriale vi fu una profonda continuità nel processo storico. Crescenzi nel Duecento e gli agronomi del Quattro e Cinquecento potevano ancora utilmente rifarsi ai trattati degli agronomi romani. Le idee ippocratico-galeniche continuarono a rappresentare la base della medicina ufficiale ben addentro al Settecento due secoli dopo la rivolta di Paracelso. Non pareva assurdo a Machiavelli richiamarsi all'ordinamento romano quando faceva piani per un esercito del suo tempo. Alla fine del Settecento Caterina II di Russia fece trasportare dalla Finlandia a Pietroburgo un enorme masso erratico per porlo alla base del monumento dedicato a Pietro il Grande: il trasporto del colossale sasso fu effettuato con sistemi sostanzialmente identici a quelli usati migliaia di anni prima dagli antichi Egizi nella costruzione delle piramidi. Palladio e successori potevano ancora trarre ispirazione e insegnare mento dalle costruzioni dell'antichità classica. […].
Un'essenziale continuità caratterizzò il mondo preindustriale pur attraverso rivolgimenti grandiosi quali lo sviluppo e la decadenza dell'impero romano, il trionfo e il declino dell'Islam, i cicli dinastici cinesi. […]

La Rivoluzione industriale
Questa continuità fu rotta tra il 1780 e il 1850. Alla fine del secolo XIX se un generale studia l'ordinamento militare romano, se un medico si occupa di Ippocrate e Galeno, se un agronomo legge Columella, lo fa per puro interesse storico o per gioco d'erudizione. Anche nella lontana e immobile Cina appare evidente ai più illuminati tra i burocrati-letterati del Celeste Impero che gli antichi testi classici che avevano dato continuità alla storia cinese attraverso invasioni e cicli dinastici non hanno più valore per la sopravvivenza nel mondo contemporaneo. Nel 1850 il passato non è più solo passato: è morto.
D'altra parte, se la Rivoluzione industriale creò nel giro di tre generazioni una irrevocabile discontinuità nel processo storico, essa affondava peraltro le sue radici ben addentro nei secoli che la precedettero. A voler cercare le origini della Rivoluzione industriale bisogna riandare a quel grosso sommovimento di idee e di strutture sociali che accompagnò il sorgere dei comuni urbani nell'Italia centro-settentrionale, nei Paesi Bassi meridionali e nella Francia del Nord-Est tra il secolo
XI e XIII. Si è visto che per capire appieno il significato essenziale del sorgere o risorgere di quei centri urbani, bisogna metterne in rilievo il carattere rivoluzionario, la rivolta aspra e violenta contro il predominante assetto agrario-feudale. Iniziò allora la fine di una società in cui potere e risorse economiche erano basati esclusivamente sulla proprietà terriera ed erano monopolizzati da gruppi sociali i cui ideali erano la guerra, la caccia e la preghiera. E cominciò a emergere in sua vece una società basata sull'attività mercantile e manifatturiera e ispirata a ideali di praticità e di guadagno. II posto del cavaliere e del monaco furono presi dal mercante, dal professionista e dall'artigiano. La civiltà imperniata su questi tre personaggi si sviluppò inesorabilmente e nel giro di pochi secoli conquistò l'Europa occidentale. Un processo cumulativo ne rafforzò e affinò progressivamente le strutture sia istituzionali che umane. Nel corso del Cinque e Seicento questo processo entrò in crisi nei suoi due nuclei originari: l'Italia e i Paesi Bassi meridionali. Ma continuò e raggiunse il parossismo in altre due zone d'Europa: i Paesi Bassi settentrionali e l'Inghilterra. Riassumendo, […] si può dire che alla fine del Seicento i tratti salienti in queste due zone erano: una straordinaria espansione del settore mercantile e manifatturiero; la presenza di un folto ceto mercantile dotato di notevoli capacità imprenditoriali, di potenza economica e di influenza sociale e politica; una notevole scorta di manodopera artigianale, qualificata, una relativamente alta diffusione dell'alfabetismo; e una relativa abbondanza di capitale.
Questi i tratti materiali. Sul piano delle idee, la caratteristica saliente era data da un indirizzo utilitaristico e meccanicistico e da una forte e progressiva inclinazione verso la misurazione quantitativa e la sperimentazione. La filosofia baconiana e la concezione meccanicistica dell'universo sono la logica conseguenza del movimento di idee germinato secoli prima nei comuni cittadini d'Italia e di Fiandra. C'è una evidente continuità tra gli schizzi di Honnecourt, le macchine di Leonardo e le scoperte di Newton. In Inghilterra e in Olanda alla fine del Seicento il movimento giunse al suo parossismo e conquistò ampi ceti della società. Gli uomini erano diventati meccanici. E una folla crescente di dotti, dilettanti e artigiani si dedicò sempre più attivamente a inventare e sperimentare meccanismi.
Se alla metà del Seicento si fosse chiesto a un uomo dotato di fantasia, cultura e senso pratico quale dei due Paesi, Olanda e Inghilterra, aveva maggiori probabilità di attuare nel corso dei successivi centocinquant'anni una rivoluzione esplosiva nel campo produttivo, la risposta avrebbe data certamente priorità all'Olanda. Sotto tutti i rispetti essenziali l'Olanda sopravanzava l'Inghilterra. Ma nel corso del secolo XVIII l'Olanda entrò in una fase involutiva. Di più. L'Inghilterra aveva il carbone e l'Olanda no. Alla fine dell'Ottocento la presenza di carbone non avrebbe più avuto un'importanza decisiva. La Rivoluzione industriale stessa creerà i mezzi di trasporto necessari per rifornire di carbone a costi economici le zone sprovviste e d'altra parte renderà possibile lo sfruttamento economico di forme alternative di energia inanimata. Ma tra gli inizi e la metà dell'Ottocento la presenza di depositi di carbone facilmente accessibili era un fattore di importanza decisiva: non il fattore sufficiente di uno sviluppo industriale, ma senza dubbio il fattore necessario.
Come si è visto precedentemente, a partire dalla metà del secolo XVI, il consumo di carbone aumentò drasticamente in Inghilterra non solo per uso domestico ma anche per vari usi industriali. Verso la fine del Settecento, la macchina di Watt rese possibile la trasformazione dell'energia chimica del carbone in energia meccanica. Dopo il 1820, la macchina a vapore venne largamente impiegata nel trasporto ferroviario, in quello marittimo e in un crescente numero di processi produttivi.
La scoperta di Watt non era un fatto accidentale. Soprattutto non era accidentale il fatto che tale scoperta avesse un'applicazione produttiva travolgente, e che fosse seguita da tutta una serie di invenzioni analoghe. Come scrisse Whitehead, l'uomo «aveva inventato il metodo dell'invenzione», e tutta una serie di nuove scoperte permisero lo sfruttamento di nuove forme di energia e l'utilizzazione più efficiente di forme di energia già note. Tra il 1860 e il 1890 iniziava l'industria dell'estrazione del petrolio e veniva perfezionato il motore a combustione interna. La fine del secolo vedeva l'affermazione dell'elettricità. Alla metà del secolo XX l'uomo aveva cominciato a sfruttare l'energia dell'atomo.
Si è già accennato che la disponibilità di carbone ebbe un'importanza essenziale sino alla metà dell'Ottocento. Il precoce sviluppo industriale del Belgio è senza dubbio legato alla presenza in territorio di notevoli giacimenti carboniferi. Si è però anche detto che se il carbone fu un elemento necessario esso non fu mai un elemento sufficiente.
La Rivoluzione industriale fu, innanzi tutto, un fatto socio-culturale: il carbone da solo non crea e non muove le macchine. Occorrono uomini capaci di estrarre il carbone, di ideare e fabbricare le macchine, di organizzare i fattori produttivi e di assumersi i rischi e le responsabilità dell'impresa. Dalla metà dell'Ottocento in poi la diminuzione dei costi di trasporto del carbone e lo sfruttamento economico di forme alternative di energia resero possibile lo sviluppo industriale anche a zone prive di carbone. Ciò facilitò la diffusione geografica della Rivoluzione industriale. Ma che la Rivoluzione industriale fosse essenzialmente un fatto socio-culturale lo si vede bene quando si osserva che i primi paesi a industrializzarsi furono quelli che avevano una più bassa percentuale di analfabeti e avevano maggiori similarità culturali con l'Inghilterra.
Datare l'inizio dell'industrializzazione di un Paese è un atto arbitrario: ma non più arbitrario che datare l'inizio del Medioevo o del Rinascimento. Aree geografiche, settori economici e gruppi sociali all'interno di uno stesso paese si muovono con dinamica diversa, e d’altra parte attività e forme di vita nuove vengono a inserirsi nel contesto di attività e forme di vita tradizionali che a loro volta sopravvivono ai tempi. Indulgendo a un bisogno di classificazione cronologica si può comunque dire che attorno al 1850 1a Rivoluzione industriale era penetrata in Belgio, Francia, Germania, Svizzera e Stati Uniti. Attorno al 1900 si era impiantata in Svezia,  Italia, Russia, Giappone e Argentina.
(Carlo M. Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Il Mulino, Bologna, pp. 347-351)

 

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