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Dal discorso in parlamento di Macaulay sulla riduzione della giornata lavorativa a dieci ore (1847)

Voi concludete: non possiamo diminuire il numero delle ore di lavoro senza ridurre la quantità della produzione. Non possiamo ridurre la produzione senza diminuire il salario dell'operaio. Nel frattempo gli stranieri che possono lavorare finché cadono morti davanti ai loro telai ci avranno presto cacciati da tutti i mercati del mondo. I salari caleranno rapidamente. La situazione della nostra popolazione lavoratrice diverrà molto peggiore di quanto è oggi; e la nostra stolta intromissione, al pari della stolta intromissione dei nostri antenati negli affari dei sensali in granaglie e degli usurai, aumenterà la miseria della classe che vogliamo aiutare...
Signori, proprio trecento anni fa in Inghilterra si produssero profondi cambiamenti religiosi. In questo periodo inquieto e avido di novità si è parlato e scritto molto sulla questione se i cristiani dovessero astenersi dal lavoro per un giorno alla settimana; notoriamente i riformatori, da noi e sul continente, negarono l'esistenza di un simile comandamento. [...] Signori, se i nostri avversari sono coerenti con se stessi, essi devono affermare che una simile legge avrebbe aumentato in misura straordinaria la ricchezza del paese e il salario dell'operaio. Quale effetto - se i loro principi sono giusti - avrebbe dovuto produrre l'aumento di un sesto del tempo di lavoro complessivo! Quale aumento della produzione! Quale aumento salariale! Come sarebbe stato incapace di reggere la concorrenza l'artigiano straniero che aveva ancora i suoi giorni di festa e di riposo, confrontato con un popolo i cui negozi erano aperti, i cui mercati erano pieni, le cui vanghe, accette, pialle, secchi per la malta, incudini e telai erano al lavoro dall'alba fino alla notte per trecentosessantacinque giorni all'anno! Le domeniche di trecento anni ammontano a cinquanta anni di giornate di lavoro. Sappiamo quello che può produrre l'industria in cinquant'anni. [...] Le argomentazioni del mio nobile amico portano inevitabilmente alla conclusione che se nel corso degli ultimi tre secoli la domenica non fosse stata considerata giornata di riposo, saremmo divenuti un popolo molto più ricco e civilizzato di quanto non siamo oggi, e che la classe operaia in particolare si troverebbe in una condizione di gran lunga più favorevole di quella attuale. Ma crede egli, crede un qualsiasi membro del parlamento seriamente che le cose sarebbero andate cosi? Da parte mia non ho il minimo dubbio che se noi e i nostri antenati nel corso degli ultimi tre secoli avessimo lavorato di domenica con lo stesso ritmo che abbiamo mantenuto nei giorni feriali, oggi saremmo un popolo più povero e meno civilizzato di quanto siamo, la produzione sarebbe inferiore a quella che è, i salari sarebbero inferiori a quelli che sono, e oggi un altro popolo rifornirebbe il mondo intero di stoffe di cotone, di lana e di coltellerie.

(da J. Kuczynski, Nascita della classe operaia, Il Saggiatore, Milano 1967, p. 111)
 

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