J. Stuard Mill: l'intervento sociale in economia
La sua filosofia dell’industrializzazione è caratterizzata dalla fiducia nelle capacità di autocorrezione dello stesso sistema industriale.
Necessità di alleviare le temporanee difficoltà dei lavoratori sostituiti dalle macchine. Necessità dell'introduzione delle macchine
L'argomento su cui si basano la maggioranza di coloro i quali sostengono che le macchine non possono mai arrecar danno alla classe lavoratrice è che le macchine, riducendo il costo della produzione, accrescono di tanto la domanda delle merci da consentire in breve tempo che un numero di persone maggiore di prima trovi occupazione nel produrle. Non mi sembra però che l'argomento abbia il peso che ad esso comunemente si attribuisce. Indubbiamente il fatto, benché esposto in termini troppo ampi, è spesso vero. È certo che il numero dei copisti rimasti senza lavoro per l'invenzione della stampa, fu in breve superato da quello dei compositori e degli stampatori che presero il loro posto; ed il numero dei lavoratori ora occupati nella manifattura del cotone è molte volte maggiore di quelli occupati prima delle invenzioni del Hargreaves e dell'Arkwright; la qualcosa mostra che oltre all'enorme capitale fisso ora impiegato in quell'industria, essa impiega pure un capitale circolante di gran lunga maggiore di quello impiegato in ogni epoca precedente. Ma se questo capitale è stato tolto da altri impieghi; se i fondi che hanno sostituito il capitale investito in costosi macchinari sono stati forniti, non da un maggior risparmio derivante dai miglioramenti, ma da sottrazioni dal capitale generale della collettività; quale vantaggio le classi lavoratrici avrebbero ottenuto da quel semplice trasferimento? In qual modo la perdita da esse sofferta per la conversione del capitale circolante in capitale fisso, sarebbe stata loro compensata da un semplice mutamento nella destinazione di una parte del rimanente capitale circolante, dai vecchi ai nuovi impieghi?
Tutti i tentativi per dimostrare che le classi lavoratrici, considerate nel loro insieme, non possono temporaneamente soffrire per l'introduzione delle macchine, o per l'investimento del capitale in miglioramenti durevoli, sono, io ritengo, necessariamente fallaci. Che esse soffrano nel ramo particolare d'industria cui il mutamento si applica, viene generalmente ammesso, ed è ovvio al senso comune; ma si dice spesso che sebbene in un ramo si tolga occupazione al lavoro, negli altri si apra un'occupazione esattamente equivalente, giacché ciò che i consumatori risparmiano nel diminuito costo di una data merce li pone in grado di accrescere il loro consumo di altre merci, aumentando così la domanda di altre specie di lavoro. Ciò è plausibile, ma, come vedemmo nell'ultimo capitolo, implica un errore; la domanda di merci essendo una cosa tutta diversa dalla domanda di lavoro.
È vero che i consumatori hanno ora maggiori mezzi per comprare altre cose; ma ciò non vale a creare quelle altre cose, a meno che non vi sia il capitale per produrle; ed il miglioramento non ha reso libero alcun capitale, se pure non ne ha assorbito da altri impieghi. Perciò il supposto incremento della produzione e dell'occupazione di lavoro in altri rami non avrà luogo; e l'accresciuta domanda di merci da parte di alcuni consumatori sarà compensata dalla cessazione di una domanda da parte di altri, cioè dei lavoratori, resi inutili dal miglioramento, e che dovranno essere mantenuti, se lo saranno, partecipando, o per concorrenza o per elemosina, a ciò che era precedentemente consumato da altri.
Cionondimeno, io non credo che, nel modo in cui sono attualmente condotte le cose, i miglioramenti nella produzione siano spesso dannosi, se pure lo siano, anche temporaneamente, alle classi lavoratrici. Lo sarebbero se si verificassero repentinamente su larga scala, giacché gran parte del capitale assorbito dovrebbe essere necessariamente fornito in tal caso da fondi già impiegati come capitale circolante. Ma i miglioramenti sono introdotti sempre gradualmente, e soltanto di rado o forse mai avvengono mediante ritiro di capitale circolante dalla produzione effettiva, bensì mediante l'impiego dell'incremento annuale del capitale stesso. Vi sono ben pochi esempi di un grande aumento del capitale fisso, non accompagnato da un incremento altrettanto rapido del capitale circolante. Non è nei paesi poveri o arretrati che si compiono larghi e costosi miglioramenti della produzione.
(da J. Stuart Mill, Principi di economia politica, tr. it. A. Campolongo, UTET, Torino 1953, pp. 97-98)