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Le origini del movimeno operaio

I fenomeni storici sono strettamente collegati tra loro, e si spiegano spesso attraverso le relazioni che li legano. Il movimento operaio costituisce un fenomeno storico in diretta relazione con la rivoluzione industriale. Abbiamo già sottolineato a sufficienza come la rivoluzione industriale rappresenti il fenomeno base della storia dalla fine del XVIII secolo e per tutto il XIX secolo. Fu infatti questo processo storico a fare da supporto alla rivoluzione borghese, a sollecitare i risorgimenti nazionali, a richiedere gli stati unitari come dimensioni di mercato ottimali per il proprio sviluppo.
Per quanto riguarda il movimento operaio è ancora la rivoluzione industriale a produrre storicamente quella nuova classe operaia che diverrà protagonista delle rivendicazioni sociali per tutto il XIX secolo, e delle rivoluzioni socialiste nella prima metà del XX secolo. All'origine del movimento operaio sta la condizione di terribile sfruttamento in cui versa il proletariato industriale nei primi decenni della rivoluzione industriale: orari di lavoro di sedici ore, salari miseri, nessuna tutela della salute, condizioni di abitazione semianimali, sfruttamento senza limiti e senza controlli del lavoro femminile e infantile.
Anche le condizioni di vita al di fuori delle fabbriche venivano sconvolte dalle condizioni di lavoro: i primi operai erano generalmente braccianti agricoli o piccoli agricoltori sradicati dalle loro regioni di origine e inurbati in prossimità delle fabbriche, costretti a vivere in condizioni spesso subumane, impossibilitati dai ritmi di lavoro ad occuparsi della famiglia, ridotti in condizioni economiche tali da poter malamente provvedere ad essa.
A questa situazione di fondo va aggiunto che le crisi economiche ricorrenti ricadevano duramente sugli operai, attraverso riduzioni del salario, o anche licenziamenti senza alcuna tutela e senza alcun sussidio. Occorsero vari decenni prima che gli operai riconoscessero di costituire una vera e propria nuova classe sociale, legata dai medesimi interessi e votata alla solidarietà. Quando questo riconoscimento avvenne si profilarono due fondamentali orientamenti:
- quello sindacale, rivolto verso l'associazionismo ed alla lotta di rivendicazione, per ottenere migliori condizioni di lavoro e adeguate tutele;
- quello socialista, incentrato sulla natura di classe del proletariato operaio, e quindi sull'azione politica, rivoluzionaria (orientamento comunista), o all'interno delle istituzioni liberali e democratiche dello stesso stato borghese (orientamento propriamente socialista).
Fondamentale fu, per il diverso successo fra stato e stato di queste correnti del movimento operaio, il comportamento della borghesia imprenditoriale e della classe dirigente da essa espressa. Di norma, tanto più tollerante e disponibile al confronto fu la classe imprenditoriale e più ebbe modo di esprimersi l'orientamento sindacale, mentre una borghesia rigida su posizioni di privilegio e disposta al conflitto favorì l'esasperazione dei contrasti e quindi il ruolo dei partiti rivoluzionari.
Il principale paese in cui il movimento operaio poté esprimere al meglio la propria tradizione sindacale fu l'Inghilterra, mentre i paesi del continente videro progressivamente prevalere i partiti socialisti, se non gli orientamenti rivoluzionari su base di classe.
In alcune pagine dedicate alla rivoluzione industriale abbiamo già descritto la condizione storica della prima classe operaia. È interessante ora valutare la stessa condizione dal punto di vista economico e di mentalità.
La convinzione che il conferimento di alti salari agli operai potesse ritornare utile agli stessi imprenditori si fece strada con estrema fatica nel corso del XIX secolo, ed anzi si può affermare che rimase sostanzialmente estranea alla coscienza del secolo. In effetti, dal punto di vista economico, l'operaio non è soltanto un fornitore di manodopera all'industria, ma anche un consumatore dei suoi prodotti: tanto migliore è il potere d'acquisto del suo salario, tanto maggiore sarà la quantità di merci di cui si renderà acquirente. Al contrario, per tutto il XIX secolo gli imprenditori continueranno a considerare l'operaio come pura forza lavoro, ed il loro scopo sarà costantemente di ridurre l'incidenza sui costi di produzione finali. Questo atteggiamento è alla base della ricerca di sfruttamento esasperato del lavoro, e dunque anche delle lotte operaie, con una netta differenza fra l'Inghilterra (il paese in cui era nata la rivoluzione industriale) ed i paesi del continente. Anche in Inghilterra le lotte sindacali furono dure e spesso esasperate, ma l'esistenza di una disponibilità diversa dall'irrigidimento degli imprenditori europei è testimoniata da figure come Stuart Mill, che valutava l'opportunità di moderare lo sfruttamento e di concedere garanzie come punti di vista imprenditoriali, di ottimizzazione delle condizioni di lavoro. Egli osservò, ad esempio, che le capacità di lavoro di un operaio non possono superare un determinato numero di ore, oltre le quali il suo rendimento rapidamente decade. Con ciò, il valore del salario operaio venne comunque visto come il risultato di un rapporto di domanda ed offerta: secondo questo criterio l'offerta aumenta tanto più scarseggia la domanda e viceversa, e ciò vale sia per definire il prezzo delle merci che per stabilire l'importo del salario. Ne seguiva, almeno da parte di Mill, la raccomandazione agli operai di ridurre il proprio numero, per moderare la domanda di lavoro e quindi migliorare le condizioni di salario. Inutile dire che una simile raccomandazione non era facile in un paese che continuava a conservare sacche di miseria (e quindi manodopera inattiva e di «riserva») in misura consistente.
Nei paesi continentali prevalse sul sindacalismo l'orientamento socialista. Nella prima metà del secolo si trattò di un socialismo prevalentemente utopico o umanitario, proiettato verso la definizione di società ideali, in cui il divario di classe fosse abolito. Solo intorno alla metà del secolo l'orientamento socialista acquistò un'impronta direttamente politica ed abbandonò le utopie per una più concreta azione di organizzazione e di rivolta: una tappa fondamentale in questa direzione è costituita dal Manifesto del partito comunista, che Marx ed Engels pubblicarono nel 1848, e ancor più dal Capitale di Marx (1867), che costituisce una vera e propria summa del pensiero economico comunista.
(Paola Pajni, La macchina del tempo, Thema, Bologna, 1991, pp. 111-112)

 

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