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Henry Ford - Catena di montaggio e disciplina sociale

Nel suo libro autobiografico, scritto in collaborazione con S. Crowther, Henry Ford (1863-1947) racconta la sua vita e le tappe del suo successo come imprenditore.

Pubblicato nel 1922, nonostante il suo tono apologetico e autocompiaciuto, questo libro ebbe un successo enorme sia negli Stati Uniti che in Europa e fu letto e discusso con grande interesse e passione anche in Italia da molti intellettuali come Gobetti, Gramsci e Rosselli.

Un'automobile Ford comprende circa cinquecento pezzi, contando i maschi, le viti e ogni cosa. Alcuni di tali pezzi sono abbastanza grossi; altri non più che particelle di una macchinetta da orologio. Quando noi montammo le nostre prime macchine, la vettura soleva essere messa al suolo in un punto qualsiasi e gli operai vi portavano man mano i pezzi occorrenti, al modo dei manovali quando si costruisce una casa. Allorché incominciammo a fabbricare da noi i singoli pezzi, fu naturale che si creasse per ogni pezzo uno speciale riparto nelle officine; ma però un operaio eseguiva tutte le operazioni necessarie ad un piccolo pezzo. Il rapido incalzare della produzione rese indispensabile l'organizzare altrimenti il lavoro, per evitare che gli operai si dessero impaccio l'uno con l'altro. Il lavoratore mal diretto spende più tempo nel muoversi di qua e di là per prendere materiali e strumenti che non ne impieghi per il lavoro effettivo; ed egli infatti è pagato poco, poiché il podismo non è tra gli esercizi che si pagano molto.
Il primo passo innanzi nell'opera di montaggio avvenne quando s'incominciò a portare il lavoro agli operai e non gli operai al lavoro. Ora in tutta la nostra lavorazione noi ci atteniamo a due massime: che un operaio, se possibile, non abbia mai da fare più di un passo, e che egli non abbia bisogno di distrarsi dal ritmo del suo lavoro col piegarsi a dritta e a sinistra.
I principi del montaggio sono questi:
1. Collocate strumenti ed uomini secondo l'ordine successivo delle operazioni, in modo che ogni parte componente abbia a percorrere il minimo spazio durante il processo di finimento.
2. Usate carrelli su binari, o altre simili forme di trasporto, in modo che quando un operaio ha finito la sua operazione, egli getta il pezzo sempre allo stesso posto, il più che sia possibile a portata della sua mano. Quindi, se si può ottenerlo, è il peso stesso del pezzo quello che deve far scorrere il carrello sul binario e portarlo al prossimo operaio.
3. Regolate il sistema di trasporto meccanico anche nel radunare i pezzi sul luogo di montaggio, in modo che essi giungano e partano col giusto intervallo. Il preciso risultato dell'applicazione di queste massime è la riduzione della necessità di pensiero da parte degli operai e la eliminazione d'ogni loro movimento superfluo. L'operaio deve far possibilmente una cosa sola con un solo movimento. [...]
Il nostro primo esperimento di una ferrovia di montaggio risale circa all'aprile del 1913. La sperimentammo dapprima per montare i magneti.
Credo che la nostra fosse la prima linea di montaggio a catena che mai sia stata installata. L'idea ci venne in generale dai carrelli su binari che i macellai di Chicago usano per distribuire le parti dei manzi. Noi avevamo finora messo a posto i magneti col comune sistema. Un operaio che facesse l'intero lavoro sbrigava da trentacinque a quaranta pezzi in una giornata di nove ore, vale a dire adoperava circa venti minuti per pezzo. Ciò che allora egli eseguiva solo, fu poi frazionato in ventinove operazioni diverse, e il tempo necessario al finimento fu ridotto con ciò a 13 minuti e 17 secondi. Nel 1914 noi innalzammo la linea di trasporto di 20 centimetri e riducemmo il tempo a sette minuti. Ulteriori esperimenti sulla rapidità del lavoro, ci permisero di accelerare questa operazione di montaggio a cinque minuti. Per farla breve, il risultato è questo: col concorso dello studio scientifico, un operaio è oggi in grado di compiere più di quattro volte il lavoro che egli compiva pochi anni addietro. Il montaggio del motore, dapprima affidato a un uomo solo, è ora diviso in ventiquattro operazioni, e gli uomini in esse impiegati fanno un lavoro per il quale ce ne volevano prima tre volte tanti. Ben presto noi cercammo di applicare il sistema anche allo «chassis».
La maggior prestazione che noi avevamo ottenuto col montaggio dello «chassis» in un posto fisso, era in media di dodici ore e ventotto minuti per ogni «chassis». Si tentò adunque l'esperimento di far scorrere lo «chassis» per una corda lunga duecentocinquanta piedi, mediante un argano. Sei montatori accompagnavano lo «chassis» in questo viaggio, e prendevano l'uno dopo l'altro i pezzi necessari disposti a gruppi lungo il percorso. Questo rozzo esperimento bastò a ridurre il tempo dell'operazione a cinque ore e cinquanta minuti per ogni «chassis». Nella prima metà del 1914 noi innalzammo il livello della linea di montaggio. Avevamo adottato il precetto del lavoro da farsi ad altezza d'uomo in piedi; uno dei binari era collocato a 68 centimetri dal suolo, e l'altro a 62 centimetri, in modo da servire a squadre d'operai di diversa statura. [...] Il montaggio dello «chassis» procede sulla sua linea con una velocità di metri 1,8 al minuto. Nel montaggio dello «chassis» si comprendono quarantacinque operazioni distinte con altrettante stazioni. Il primo gruppo d'operai assicura allo scheletro dello «chassis» quattro parafanghi di latta; il motore arriva alla decima stazione, e così di seguito. L'uomo che colloca a posto una parte non ha da saldarla; la parte non sarà fissata completamente se non forse dopo parecchie operazioni ulteriori. L'uomo che aggiunge una vite non è quello che mette a posto la vite madre; colui che mette la vite madre non la chiude. Alla stazione trentaquattresima il motore vergine riceve la sua benzina dopo essere stato lubrificato con l'olio; alla quarantaquattresima il refrigeratore viene riempito d'acqua, e alla quarantacinquesima la vettura ormai completa esce sulla John R. Street. [...]
Ci mettemmo parecchio tempo a trovare il nostro orientamento nella questione dei salari [...]. E in quel tempo, anche, i salari non erano ancora scientificamente commisurati ai diversi lavori. L'uomo che aveva da eseguire l'operazione A poteva ricevere un salario e l'addetto all'operazione B un salario superiore, mentre di fatto A richiedeva più di B abilità e forza. Molte sperequazioni s'insinuano nella fissazione dei salari, qualora ambo le parti, datori di lavoro e impiegati, non sappiano che le quote delle mercedi sono stabilite su alcunché di più determinato del semplice apprezzamento. Perciò, intorno al 1913, noi incominciammo a fare studi sulla tempistica di tutte le migliaia d'operazioni delle nostre officine. Misurando i tempi, è possibile giungere teoricamente a determinare quale dovrebbe essere il rendiconto di un uomo. Quindi, pur facendo larghe concessioni, è possibile fissare anche un soddisfacente rendimento medio per la giornata, e prendendo in considerazione l'abilità, si può ottenere un numero che esprima con onesta precisione la somma di abilità e di fatica che appartiene a ogni singolo lavoro, cioè quanto deve aspettarsi dal lavoratore singolo in cambio della sua paga. Senza questo studio scientifico, il datore di lavoro non può sapere perché egli paga una determinata mercede e l'operaio non può sapere perché riceva proprio quella. I numeri indici del tempo ci servirono a stabilire una norma per tutti i lavori della nostra fabbrica e a fissar la mercede di ciascuno. […]
Muniti di questi dati, noi cominciammo e nel gennaio del 1914 mettemmo all'opera, una specie di tabella della distribuzione dei guadagni, dove il salario minimo per qualsiasi categoria di lavoro, premesse certe condizioni, era di cinque dollari al giorno. Nel tempo stesso riducemmo la giornata lavorativa da nove a otto ore e il lavoro settimanale a quarantotto ore. L'atto fu completamente volontario. Ogni cosa, nella nostra sistemazione dei salari, fu volontaria. Si trattava, a nostro modo di vedere, d'un atto di giustizia sociale, e in ultima analisi lo compiemmo per la soddisfazione della nostra coscienza. un piacere grande nel sentire che avete reso felici altri uomini, che avete diminuito in qualche misura il fardello del vostro prossimo, che gli avete concesso un margine sul quale possono fiorire lo svago e il risparmio. La buona volontà è uno dei pochi fattori realmente importanti nella vita. Un uomo risoluto può raggiungere quasi ogni cosa che egli persegua, ma non ci avrà guadagnato molto se sul suo cammino non semini la buona volontà. Tuttavia non c'entrava affatto la carità in tutto questo [...]. Non pensavamo a fare elargizioni ma a costruire per il futuro. Un'impresa che tenga i salari bassi è sempre malsicura.
Probabilmente poche innovazioni industriali si suscitarono in tutto il mondo tanti commenti quanti ne suscitò questa nostra; ma dei molti che ci giudicarono forse nessuno colpì nel segno. Gli operai quasi generalmente credevano di dover guadagnare cinque dollari, senza riguardo al lavoro che fossero per fornire.
I fatti erano alquanto diversi dalle generali impressioni. L'idea nostra era quella di ripartire i guadagni, ma anziché aspettare che questi guadagni si fossero maturati, noi li calcolavamo in anticipo, per aggiungerli, sotto certe condizioni, alle mercedi del personale che appariva addetto alla Compagnia da sei mesi o più. La ripartizione era sistemata con riflesso a tre classi di salariati:
1. Uomini ammogliati che vivevano con la famiglia e provvedevano ad essa debitamente.
2. Uomini scapoli sopra i ventidue anni d'età, di provate abitudini domestiche.
3. Giovani sotto i ventidue anni e donne che fossero l'unico sostegno di qualche loro familiare.
Il lavoratore doveva dapprima ricevere il suo giusto salario, che era calcolato in media a circa il quindici per cento sopra i salari correnti sul mercato. Inoltre egli aveva diritto ad aspirare ad una certa quota di guadagno. Il suo salario, più il suo guadagno, si calcolava corrispondesse a un minimo reddito quotidiano di cinque dollari. La partecipazione al guadagno era divisa su base oraria e si accreditava sulle mercedi calcolate ad ora, talché coloro i quali ricevevano il più basso salario per ogni ora, avevano la più larga proporzione di guadagno. Questo veniva versato ogni due settimane insieme coi salari. Per esempio un uomo che per un'ora di lavoro riceveva trentaquattro centesimi, ci vedeva aggiunta una parcella di guadagno di ventotto centesimi: il che gli costituiva un reddito giornaliero di cinque dollari. Un uomo che ricevesse cinquantaquattro centesimi all'ora fruiva dell'aggiunta di ventun centesimi: e con ciò il suo reddito giornaliero era fissato in sei dollari. Era insomma una specie d'ordinamento distributivo del benessere. Però a certe condizioni. L'uomo e la sua casa dovevano corrispondere a talune norme di pulizia e di civiltà. Nulla di paternalistico nelle nostre intenzioni! [...] Ma la nostra prima idea era quella di creare un ben definito incentivo a miglior condotta di vita, movendo dal presupposto che non fosse migliore incentivo d'un premio in denaro. Un uomo che viva rettamente farà anche il suo lavoro con rettitudine. [...]
Era cosa prestabilita che, se volessero ricevere il loro premio, gli uomini sposati dovessero vivere con le loro famiglie ed averne cura. Dovevamo infrangere il malcostume di parecchi operai stranieri di tramutare le loro case in domicili di subinquilini o di pensionati, di considerare come alcunché da trar moneta anziché come luoghi per viverci. Ragazzi di diciott'anni ricevevano il premio se mantenevano madre o sorella o qualche congiunto. Così anche gli scapoli in età adulta che avessero un sano tenor di vita. La miglior prova che il sistema era essenzialmente benefico è data dalla statistica. Quando le nostre innovazioni furono introdotte, il 60 per cento degli operai furono qualificati senz'altro per il premio; in capo a sei mesi, questo numero era aumentato fino al 78 per cento, e in capo a un anno fino all'87. Dopo un solo anno e mezzo, l'esigua frazione dell'un per cento rappresentava quelli che non ricevevano il premio. Gli aumentati salari recarono altri risultati. Nel 1914, quando le nostre prime disposizioni sui salari andarono ad effetto, avevamo 14.000 addetti, ed era stato necessario procedere in un anno a 53.000 assunzioni per mantenere costante questo effettivo di 14.000 uomini. Nel 1915 non dovemmo assumere che 6500 uomini, e la maggior parte di questi nuovi addetti erano presi perché la nostra azienda cresceva. Se l'antica rotazione degli uomini si fosse conservata nelle nostre condizioni presenti, noi avremmo dovuto procedere a circa 200.000 assunzioni d'operai all'anno, ciò che sarebbe stato poco meno che impossibile. Pur tenendo conto di quel minimo d'istruzione che si richiede per impadronirsi di quasi tutti i lavori della nostra fabbrica, noi non possiamo assumere un personale tutto nuovo né ogni mattina, né ogni settimana, né ogni mese: giacché quantunque un uomo possa qualificarsi entro due o tre giorni per esecutore di lavoro accettabile con accettabile velocità, egli sarà capace di darci ben altro dopo un anno di esperienza che non nei primi tempi del suo noviziato. La questione dell'instabilità degli operai ha cessato di darci tormento dopo la nostra riforma dei salari. È alquanto difficile recarne dati precisi, perché quando non intendiamo sviluppare particolari capacità, è nostro uso far rotare una parte degli uomini col concetto di distribuire il lavoro in un maggior numero. Questo non rende agevole il distinguere tra gli allontanamenti volontari ed involontari. Oggi non teniamo registri in proposito; il movimento degli operai ci dà tanto poco pensiero che non ci preoccupiamo di tenerne statistiche. Ma per quanto ne sappiamo all'ingrosso, il movimento del personale si aggira fra il 3 per cento, e il 6 per cento al mese.
Noi abbiamo introdotto dei mutamenti nel nostro sistema dei salari, ma non abbiamo deviato da questo principio.
Se volete che un uomo vi dia il suo tempo e la sua energia, fissate il suo salario in modo che egli non abbia angustie finanziarie. Vedrete che ne vale la pena. I nostri guadagni, dopo aver pagato buone mercedi ed inoltre il premio - il quale ammontava di solito a dieci milioni all'anno prima dei nostri mutamenti di sistema - forniscono la prova che pagar bene gli uomini è il modo più proficuo di condurre un'impresa.
Si mossero obiezioni al nostro metodo di far dipendere dalla buona condotta il premio sui salari. Esso tendeva al paternalismo. Il paternalismo non ha a che fare con l'industria. Un'azione d'assistenza che consista nell'ingerirsi degli affari privati dei salariati, non risponde allo spirito d'oggi. I lavoratori hanno bisogno di consiglio e d'aiuto, e ben sovente di uno speciale aiuto: e questo dovrebbe loro esser dato per un senso di decoro morale. Ma il largo e pratico piano d'investimento e di partecipazione agli utili contribuirà a consolidare l'industria e a fortificare l'organizzazione più che non possa alcuna azione sociale all'esterno degli opifici.
Senza apportare modificazioni al principio, noi abbiamo modificato i metodi di pagamento.

(da H. Ford, La mia vita e la mia opera, La Salamandra, Milano, 1980, pp. 92-94/123-27)
 

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