
Nel lavoro didattico è
tutto misurabile?
(di B.Muscherà)
Il mondo della
qualità ha preso d’assalto la realtà della scuola, soprattutto nelle regioni
che hanno fissato, per la metà dell’anno scolastico, il tempo utile per
l’accreditamento.
“La gatta prescialora fa sempre i gattini ciechi” si dice
in Sicilia, per indicare che la fretta è sempre cattiva consigliera.
Improvvisamente scuole che fino a qualche mese fa non avevano manifestato il
benché minimo interesse per la qualità, nel giro di poche settimane si
lanciano in accreditamenti e certificazioni, anche se nessuno sa cosa
realmente siano. La maggior parte dei Dirigenti scolastici ignorano quelle
realtà della scuola che da anni hanno dato vita a delle esperienze
significative in questo campo. Inoltre l’esperienza di qualità, maturata
negli ultimi decenni nel mondo delle imprese, da una parte è guardata con
sospetto, dall’altra è completamente ignorata.
Perfino gli studi condotti
dalle Università nei riguardi di questa materia hanno lasciato il tempo che
hanno trovato e non hanno avuto un’adeguata diffusione nel mondo della
scuola.
Adesso, con l’inizio del nuovo anno scolastico, è iniziato anche il
giro di valzer delle varie commissioni. In molte scuole, far parte della
commissione qualità è un privilegio, in altre una sfortunata roulette russa.
Dipende, forse, dai soldi destinati nelle singole scuole a questo progetto?
Beh, senza soldi il prete non canta messa!
Di una vera
cultura della
qualità, che sarebbe per le scuole l’aspetto più interessante, non c’è
traccia. Perché?
Forse perché implica una “conversione”, e non tutti nella
scuola, come l’Innominato manzoniano, sono disposti a trascorrere una sola
notte insonne da “tormentato esaminator di se stesso”. Una effettiva cultura
della qualità mette in campo una lunga serie di compiti, di responsabilità,
di atteggiamenti da adottare. Per essere attuata essa ha bisogno
innanzitutto di stabilire una chiara visione del futuro di
un’organizzazione, di diffondere i valori e gli obiettivi per la qualità, di
garantire le risorse, motivare il personale, attribuire responsabilità e
autorità e chiedere inoltre di autovalutarsi e correggersi rispetto ai
propri compiti. Non tutti sono disposti ad orientarsi verso questo radicale
cambiamento nel modo di gestire la scuola. Non tutti sentono chiara la
necessità di questa conversione.
Non è un caso che spesso nelle scuole i
Sistemi Qualità affrontano in modo formale la questione, tendendo a
cristallizzare il tipo di gestione esistente senza farla evolvere. È così
che spesso il progetto qualità di una scuola si riduce solo alla
somministrazione di centinaia di questionari e alla raccolta di una serie di
dati statici da lanciare sul grande schermo, presente ormai in tutti i
collegi docenti, e che una approntata velina tenta di spiegare tra gli
sbadigli e le pennichelle di un impeccabile corpo docente.
- Premesso che la
qualità non consiste solo nel misurare e monitorare;
- premesso che centinaia
di sterili questionari potrebbero anche non generare qualità;
- premesso che
il sistema di qualità di una scuola è composto da alcuni processi che si
debbono armonizzare tra di loro e funzionare bene insieme;
- premesso che i
servizi che una scuola deve erogare sono molti,
resta il fatto che il
servizio fondamentale della scuola è quello dell’educazione dei ragazzi.
Allora forse questo potrebbe diventare il punto fermo, la base sicura da cui
partire nel giudicare un progetto qualità: la persona dell’alunno.
Comprendo
qualche mio collega che fa fatica ad entrare nell’ottica del misurare, del
monitorare a tutti i costi. Chi lavora in campo educativo sa benissimo che
gran parte del proprio lavoro non è facilmente misurabile. Esso si basa su
un rapporto che si instaura tra un “io” e un “tu”; si basa su una realtà in
continua evoluzione, in perpetuo cambiamento, che sfugge inevitabilmente ad
ogni tentativo di misurazione, che per quanto ci si sforzi non potrà mai
essere monitorato e “ingrigliato” nelle percentuali e nei grafici in modo
esauriente. Allora misurare, da una parte, tutto ciò che si può misurare,
nella coscienza che tutto ciò che si può misurare non è tutto e chiedersi,
dall’altra, cosa migliora il rapporto con i propri alunni, cosa rende
significativa e interessante l’avventura dell’insegnamento-apprendimento,
qual è l’intervento educativo più adatto per la singola persona dell’alunno,
forse potrebbe diventare la base solida sulla quale costruire una vera
scuola e una vera cultura della qualità.
Detto fra noi:
“Il nostro lavoro deve essere di prim’ordine”, diceva il galantuomo in
camicia bianca e gilet blu, controllando il suo orologio da tasca, “e
l’omini che levanu i pisci dalla rete devono riempire una cassetta ogni tre
minuti se no perdono in efficienza”. Però sulle spiagge siciliane
nell’atmosfera irreale dell’alba, quando il buio della notte lascia il posto
alla luce del giorno, qualcuno di quegl’omini si sorprendeva di tanto in
tanto a guardare il sole che colorava di rosa il confine tra il cielo e il
mare. Così un insegnante ogni tanto si sorprende di fronte allo sguardo
stupito di qualche ragazzo.
…
questo l’uomo dalla camicia bianca con l’orologio da tasca, alla stessa
maniera di quello in giacca e cravatta che traccia grafici su uno schermo,
non lo potranno mai misurare.

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