(da laboratorio didattico del 29 febbraio 2004)

 

Tempo di … … riforma

Con l’approvazione del decreto legislativo sulla scuola dell’infanzia, scuola primaria e secondaria di 1° grado del 23 gennaio scorso, la riforma Moratti lascia i palazzi della politica e fa il suo ingresso nella scuola. Lo scontro aspro che ha accompagnato l’iter della legge dalle aule parlamentari si è spostato nelle piazze e sui mass-media con toni che non ne fanno intravedere un cammino facile come, d’altra parte, era già successo per la riforma Berlinguer. Non vi è dubbio che la radicalizzazione del clima politico che, a partire dai livelli istituzionali, coinvolge molta parte del paese, non ha favorito in fase legislativa il confronto tra le diverse concezioni degli schieramenti in materia scolastica che avrebbe, se non altro, reso più condivise le scelte e più gestibile la loro fase applicativa e, oggi, non garantisce la necessaria pacatezza  e riflessione nell’espressione di un giudizio di merito. Che sulla scuola si sia aperto un nuove fronte dello scontro politico e ideologico lo testimonia la demolizione operata dalla riforma dell’attuale ordinamento scolastico cancellando, abrogando e tagliando numerosi articoli e comma del precedente assetto, in contrasto con i criteri di continuità e gradualità con cui, tradizionalmente, sono avvenute nel nostro paese le innovazione nel campo della formazione e dell’educazione. Le chiavi di lettura della riforma scolastica  possono essere diverse: la valutazione del suo impianto, i principi che la ispirano, le prospettive che apre, gli aspetti normativi e sindacali che essa implica, i programmi e la loro articolazione ed altro. Sugli aspetti che delineano il tipo di scuola che questa riforma disegna le valutazioni degli opposti schieramenti sono, ovviamente, molto diverse. Nei commenti e  documenti di movimenti ed associazioni vicine al governo (Compagnia delle opere, Diesse) si sottolineano gli aspetti di scelta e di libertà introdotti o esaltati dalla riforma che la connotano come “l’inizio di una rivoluzione copernicana del sistema scolastico” poiché ribalta indiscuti-bilmente l’attuale concezione sociale e solidale del sistema scolastico proponendo un impianto che dà  una risposta ai ritardi della scuola ed alle rigidità che “ingessano” il sistema attraverso un’impostazione individuale e flessibile della formazione scolastica.  L’elemento che fornisce una base giuridica al progetto é il principio di sussidiarietà: lo Stato definisce obiettivi e norme generali, e affida alla capacità di progettazione delle scuole autonome, alla professionalità degli insegnanti e alla libertà di scelta delle famiglie il compito di disegnare i percorsi formativi, flessibili e diversificati. Disegna così un quadro all’interno del quale risultano possibili diverse opzioni educative. Una sorta di federalismo applicato al  sistema dell’istruzione.

Questo quadro di riferimento si sostanzia in una serie di interventi all’interno dell’area pedagogica-didattica laddove si sancisce che gli obiettivi didattici di ciascun studente vengono realizzati attraverso piani di studio personalizzati sulla base delle competenze accertate o delle attitudini suggerite dalla famiglia. Nella scuola primaria i piani di studio vengono elaborati dall’insegnante Tutor , una nuova figura a cui la riforma assegna estese responsabilità didattiche ed organizzative compresa la redazione del cosiddetto “portfolio”, un libretto riassuntivo della carriera scolastica dello studente.

La diversificazione si dispiega ulteriormente nella possibilità di scelta da parte dello studente e delle famiglie di corsi opzionali tenuti da esperti esterni da istituire nell’orario di tempo pieno o prolungato che dovrebbero garantire maggior pluralismo e arricchimento nella domanda e nell’offerta formativa. Infine il doppio canale (Licei e Formazione Professionale) nel ciclo secondario superiore, considerato dagli estensori della legge il punto più innovativo della riforma, che dovrebbe rivalutare la Formazione Professionale qualificandola come ambito educativo e culturalmente significativo.

Sul versante opposto, con schieramenti anche trasversali, si sono levate voci di critica anche accesa sull’intero impianto o su particolari aspetti del provvedimento con motivazioni che in parte nascono da ragioni ideali o dettate dalla preoccupazione per le contraddizioni, le ambiguità (abolizione in prospettiva del tempo pieno) e la demagogia che hanno colto nel provvedimento.

Affidiamo ad alcuni passaggi di un’intervento, pubblicato sulla rivista “Eco”, dello psicopedagogo Rinaldo Rizzi Presidente Regionale MCE (Movimento Cooperativo Educativo) il compito di argomentare con toni pacati alcune delle ragioni del  dissenso:

“Presa in sé ogni singola proposta potrebbe anche attrarre, rispondendo a esigenze di rispetto della persona che la scuola spesso ha ignorato o comunque sottovalutato. Come non convenire:

.— sul fatto che ogni bambino/ragazzo è diverso dagli altri e che dunque va rispettato per le sue capacità e competenze;

.— sull’opportunità che la collegialità docente sia supportata dalla responsabilità di una figura di coordinamento e che ogni alunno possa far riferimento relazionale ad un tutor

.— sul superamento di un’azione didattica che si esaurisce nella classe chiusa attraverso l’introduzione di attività obbligatorie di laboratorio

.— che ci sia un rapporto più costruttivo e coinvolgente fra scuola e genitori.

Il problema sono i fini per i quali si individuano queste modalità e i mezzi con cui si intendono realizzarle.

La personalizzazione dei percorsi curricolari-formativi (prevista dalla riforma) è molto diversa dalla ricerca e dalle pratiche perseguite in questi ultimi decenni  intorno alla individualizzazione degli interventi didattici, al credito formativo e al diritto di cittadinanza riconosciuto agli allievi. La prima si fonda sulla separazione e sulla responsabilità personale e familiare, la seconda sul riconoscimento dell’individualità in un rapporto di socializzazione e sulla responsabilità della scuola nella costruzione di pratiche di recupero/inserimento e del diritto-dovere condivisi in una comunità formativa.

Tale differenza porta a interpretazioni professionali che, sia nelle pratiche didattiche che valutative rispetto al ruolo del tutor e del portfolio, sono molto diverse e che possono essere facilmente intuibili (primato dei prerequisiti sociali e della responsabilità del singolo alunno rispetto a quello del servizio scolastico pubblico sia in riferimento ai percorsi che agli esiti formativi). Rispetto ai mezzi e alle condizioni con i quali si rendono possibili percorsi individua-lizzati o personalizzati, il coordinamento docente e l’assistenza tutorale, la corretta composizione di una cartella documen-tativa e valutativa in senso diagnostico e formativo, il concorso dell’alunno/studente e dei genitori alla composizione del portfolio, la scelta fra il canale di studi liceali o quello della immediata professionalizzazione e apprendistato vanno riferiti in rapporto al tempo e allo spazio messi a disposizione.

Non si vede come il mantenimento e talora la contrazione dell’orario e dell’organico docente possano esser compatibili con tali nuovi oneri professionali che richiederebbero, per esser seriamente affrontati, tempi di cattedra, di extracattedra individuale e collegiale ben più ampi rispetto agli attuali, per poter affrontare il coordinamento e la collegialità docente consultiva e programmatoria, la predi-sposizione, la documentazione e la valutazione dei materiali, le attività di tutoraggio con gli alunni e di dialogo con i genitori.

Le proposte che ci sono state indicate dal progetto di riforma oscillano dunque fra ideologismo liberista e velleitarismo accademico, e sono destinate a produrre nella scuola mistificazione e confusione anziché ordine ed efficacia formativa”.